martedì, 08 Ottobre 2024
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“Il Divo”, una verità alternativa

Tempo di lettura: 4 min.

Il 26 settembre, su Sky Cinema Drama è tornato in televisione il film “scritto” e diretto da Paolo Sorrentino. Sulla santificazione di questo lungometraggio poniamo alcuni dubbi, tre per la precisione

Lo spunto per riaprire questa polemica, nata all’indomani della prima del film in sala, viene dal titolo: “Il divo in tv: le differenze tra film e realtà, come reagì Giulio Andreotti alla visione della pellicola, 7 segreti”, a cura di Arianna Ascione per il Corriere della Sera. Sette brevi schede che nulla svelano di una narrazione stantia e convenzionale al riguardo.

È doverosa una premessa, il film è bello, ben girato e nettamente superiore a “La grande bellezza”, vincitore del premio Oscar che, nella rappresentazione delle Opere romane, altro non era che un mal riuscito riferimento al capolavoro di Peter Greenaway, “Il ventre dell’architetto”. Ma questo è un personale giudizio. Per ricordare il sunto della narrazione: il decano dei critici cinematografici, Gian Luigi Rondi accompagna in sala il senatore Giulio Andreotti, che di malavoglia accetta di vedere il film che lo riguardava. “Ne uscì sconvolto”, dichiarò in seguito Rondi.

Il giornalista Luigi Bisignani, a suo tempo, ebbe parole durissime nei confronti del film: “Quel film è una mascalzonata, ha segnato una pagina bruttissima e amara per Andreotti… Andreotti venne portato diciamo pure fraudolentemente, all’anteprima dal suo caro amico Gian Luigi Rondi, lo portò con dei giornalisti che certamente non gli erano amici. Ne uscì sconvolto…”. Per poi concludere, dai frammenti Ansa: “È costruito male è tutto inventato. Le scene di lui che camminava da solo, ad esempio… lui era un metodico, non camminava mai per strada”.

Ne uscì sconvolto, questo sì: “Io non sono così”, il suo unico commento, salvo nei giorni successivi dare un giudizio positivo sulla qualità artistica del film. D’altronde se avesse voluto, poteva citare in giudizio gli autori, gli estremi di legge potevano esserci tutti, ma tant’è!

Ora, pensare che il “caro amico” Gian Luigi Rondi abbia potuto tendere una trappola mediatica al Presidente Andreotti è come sostenere che Mozart fosse geloso del talento di Salieri. Sulle discusse camminate in solitaria, basta ricordare l’aneddoto che Alberto Franceschini narra nel suo libro “Mara, Renato ed io” a proposito del pedinamento a riguardo di Andreotti, per un suo possibile rapimento prima di quello dell’Onorevole Aldo Moro; “Il Divo”, così sopranominato dal giornalista Mino Pecorelli come ricorda la Ascione, tutte le mattine alle 6,30 si recava a piedi e senza alcuna scorta attraversando il ponte, per recarsi alla messa presso la Parrocchia Transpontina, in via della Conciliazione. Abitudine radicalmente modificata dopo la tragedia Moro.

Qui si sostiene che tutto ha inizio con l’operazione di marketing, o meglio di restyling, compiuta dalla corona inglese con “The Queen”: proporre attraverso un film il rilancio dell’immagine della regina che, dopo la morte di Lady Diana, si era andata velocemente offuscando. Operazione riuscita con pieno successo di critica e botteghino, ma soprattutto di umanizzazione della regina.

In quest’ottica, va da sé, che il fine umorista Giulio abbia materialmente contribuito alla stesura della sceneggiatura e se in giurisprudenza tre indizi fanno una prova, elenchiamoli in successione.

Uno, la scena del giudice Caselli che si pettina i capelli, spruzza la lacca e al rallenty ondula la testa come fosse “libera e bella”. Vetta di perfidia sublime per dare del narciso e deridere il nemico; altri autori, compreso Sorrentino, se la sognano una tale sagacia.

Due, la scena del monologo è pura autoassoluzione personale, politica e penale: ho fatto quello che ho fatto perché andava fatto nell’interesse della collettività. Alla fine mi sono sacrificato. Della serie: è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Che comunque è una fiera assunzione di responsabilità di ben altro calibro rispetto al misero piagnisteo: “Ho obbedito agli ordini”. C’è tutta la consapevolezza di essere un grande statista. Questo è il punto focale e vero motivo per cui è stato commissionato il film, sull’onda del successo dell’operazione di restyling di “The Queen”.

Il terzo indizio è di tipo pruriginoso, suona come una derisione postuma nei confronti di chi, da sempre l’ha deriso per la sua fisicità. Ridete, ridete ma anche io ho avuto le mie avventure sentimentali con belle donne, disposte a fare anticamera per incontrarmi. Meravigliosa la scena con quello sguardo di desiderio tra la bella infermiera e il Presidente, malato, steso sul letto. Solo il garbo di Andreotti poteva immaginare tale poesia.

Alla luce di questi indizi fattuali, ognuno tragga l’opinione che ritiene opportuna. L’ambiguità culturale di Sorrentino porterà a tentare, anni dopo, un’analoga operazione per censire la beatificazione di Silvio Berlusconi.

La procedura fu da manuale per il marketing: da prima fecero filtrare “segrete indiscrezioni”, seguì una lunga pausa e apparve la dichiarazione, non richiesta, di Berlusconi che si dichiarava felice di incontrare Sorrentino per dargli alcuni consigli e per mettergli a disposizione Villa Certosa e le altre sue proprietà, se ritenute opportune. A distanza di altro tempo, se la memoria non inganna, uscirono delle foto di un incontro informale tra lo stesso Sorrentino e il Tycoon. Finalmente uscirono, a distanza di un mese circa, ben due film, “Loro” e “Loro2”.

Risultato, il primo film lo videro “Rocco e i suoi fratelli”, mentre il secondo lo vide solo il “Il portiere di notte” di casa Berlusconi. Evidentemente Silvio, pur avendo tanti pregi non valeva Andreotti come co-sceneggiatore.

Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios
2560 1440 Gianfranco Gatta
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