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lunedì, 07 Ottobre 2024

Sanremo 2021: un tentativo mal riuscito?

Tempo di lettura: 5 min.

Ripercorrendo la storia del Festival per antonomasia ci siamo chiesti: “alla fine chi è che ha vinto?”

Festival di Sanremo 1981. Loretta Goggi, artista che se messa nelle mani di Luchino Visconti sarebbe diventata una star mondiale a detta del Maestro, canta “Maledetta Primavera”. Come inizia il refrain capisce di avere in mano il pubblico in sala e non solo quello.

Il vibrato è da brividi e nel secondo refrain “spinge” la voce ancora di più, mandando in visibilio tutta la platea e non solo quella; da far invidia a Sergio Bruni, “la voce di Napoli” e gran maestro del vibrato. Arrivò “solo” seconda e la sua carriera di cantante finì lì.

Cosa che successe anni dopo a Fiorello (1995), dato per sicuro vincitore. Perso un bravo cantante, trovato uno splendido Showman. Si sa, chi entra “Papa esce Cardinale”.

Quest’anno, causa Covid-19, non c’è stato bisogno di creare le solite polemiche artificiose: il clima era già caldo di suo! Sanremo sì, Sanremo no? E il pubblico dove lo metto? Su di una nave da crociera, ancorata al porto. Apriti cielo è un sicuro focolaio ed è venuto giù il finimondo.

Allora non più pubblico pagato ma figuranti pagati, come se per il Covid-19 facesse differenza. Se non c’è pubblico me ne vado, minaccia il conduttore per poi subito ripensarci, quando gli dicono che Carlo Conti ha già pronta la valigia.

Proprio l’assenza del pubblico in sala è il vero problema di questo Festival perché gli artisti ne hanno un bisogno, non solo psicologico ma anche fisiologico, come dimostra l’esperienza della Goggi, sopracitata.

 
 
 
 
 
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Certo, non può essere un alibi per il crollo degli ascolti di circa il 10%, rispetto all’anno prima.

Amadeus, che non è certo un fuori classe è costantemente attonito, Fiorello ci scherza sopra da par suo eppure anche lui fatica non poco, ma come dicevano le nonne: “Sangue dal muro non si può tirar fuori”.

La sua generosità tenta di sopperire alla carenza di idee da parte degli autori, fino a sfiorare siparietti in stile Valtur con la parodia della canzone “Siamo donne”, tanto da costringere Selvaggia Lucarelli, in un tweet, a parafrasare Dino Risi, contro Nanni Moretti: “Spostati Fiorello, voglio vedere Sanremo”.

 
 
 
 
 
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Non aiutano le conferenze stampa dove il direttore di Rete continua a rimarcare sul caos dovuto dalla pandemia: così facendo non fa altro che ampliare “i margini” dell’improvvisazione.

L’assenza del pubblico in sala non può essere un alibi se gli artisti, la maggior parte sconosciuti al pubblico di RaiUno, portano in gara testi e musiche di scarso appeal. Orietta Berti torna in gara dopo 29 anni e ascoltandola non si capisce perché non abbia fatto 30.

 
 
 
 
 
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Tal Aiello si presenta con una prossemica simil Pappalardo e poi canta con una voce simil Farinelli. Mah!

 
 
 
 
 
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Colapesce e Dimartino, dati per favoriti da tre settimane prima del Festival, sembrano usciti da un manifesto di “Grease”. Tutti sono più interessati al proprio Dress Code che all’interpretazione del brano.

 
 
 
 
 
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E poi fin dalla prima serata l’audio non li supporta a dovere, coi microfoni in saturazione e i computer fuori sincrono. Un regista che si rispetti avrebbe subito fatto“saltare delle teste”. D’altronde, Sanremo non ha mai avuto, in tutta la sua Storia, un regista che si intendesse di musica e che sapesse dare gli stacchi musicali a tempo; non si chiede di conoscere le partiture ma almeno la differenza tra “In levare” e “In battere”.

La cosa più curiosa la si deve a Matilda De Angelis, scende le scale (la prima uscita) indossando un vestito viola. (?) Si possono immaginare in riti apotropaici dietro le quinte.

 
 
 
 
 
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La storia del Festival è piena di accordi mancati o sottobanco, di votazioni fasulle e di pistole roteanti nel retro palco. La conferma alla regola viene dalla vittoria di Gaudiano, nella sezione “Nuove proposte” a discapito di Elena Faggi che sembra uscita dall’album di famiglia delle “Puppini Sister” e ancora, di Greta Zuccoli, elegante con le sue atmosfere alla Sade e i Dellai, simpatici, puliti e chiari nella dizione.

Tutti e tre subito eliminati ma di gran lunga superiori al vincitore. Pare evidente che qual cosa non funzioni nelle votazioni.

 
 
 
 
 
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La sindrome della mancanza di pubblico colpisce Laura Pausini, reduce della vittoria del Golden Globe. Si era preparata il discorso inserendo la retorica del premio vinto in nome della Patria, l’espediente che in gergo teatrale si chiama “far carretta” ovvero il gesto o la battuta che fa scattare l’applauso del pubblico in sala.

Tapina, mentre declama cotanta retorica si rende conto dell’assenza del pubblico e le parole le si strozzano in gola. Tu chiamale se vuoi emozioni!

Grande emozione suscita l’omaggio a Ennio Morricone, con l’Orchestra che esegue “Metti una sera a cena”, di struggente memoria, diretta dal figlio che ricalca il gesto tecnico del padre. Così come lo splendido monologo “Sono più forte della sclerosi multipla”, di Antonella Ferrari.

 
 
 
 
 
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La serata delle cover, la terza, negli anni passati è sempre stata la più apprezzata, soprattutto dalla critica. Quest’anno è stata imbarazzante e non perché come dice Gaia Soncini, su “Linkiesta”, le cover siano sempre e comunque un insulto, altrimenti butteremmo a mare tutta la produzione di Tony Bennett o di Micheal Bublè.

La presenza di Barbara Palombelli sul palco sanremese ha creato forti bruciori di stomaco a tutte le giornaliste di Saxa Rubra, tanto da rendere esaurito tutto il Malox presso le farmacie adiacenti al Centro Rai.

Donna di lotta, di governo e di tartina (by Franco Bagnasco), nel suo monologo riesce a infilare una serie di luoghi comuni sulla parità di genere come nemmeno Marzullo, senza sapere che chi più l’ha osteggiata a Sanremo è stata proprio una donna. A proposito di sorellanza!

Ma la domanda è: “Questi monologhi così gravi, così “Alti”, cosa c’entrano con il Festival di Sanremo che ha detta di tutti è stato realizzato per dare un sorriso al pubblico a casa?”

 
 
 
 
 
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La verità è che la Rai ha tentato il colpo, mandando una pletora di persone allo sbaraglio (artisti, tecnici, presentatori, ospiti e così via) che ha lavorato in condizioni a dir poco disagevoli, convinta di fare il pieno di ascolti e incassare una valanga di soldi dagli sponsor.

Lecito, peccato che abbia toppato.

Tutto il resto è noia, come diceva il poeta.

Rimane la follia di una formula che prevede la chiusura alle 02.39, “non si uccidono così nemmeno i cavalli”.

A proposito, hanno vinto i Maneskin.

 
 
 
 
 
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150 150 Gianfranco Gatta
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