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Quando la cannabis salva la vita

Tempo di lettura: 6 min.

Intervista a Alfredo Ossino, ex finanziere antidroga, che si cura con la cannabis. E si batte per la legalizzazione

Nelle sedi istituzionali, la liberalizzazione della cannabis è un tema ignorato, nonostante le innumerevoli storie di sofferenza a cui, purtroppo, siamo abituati. Abbiamo intervistato Alfredo Ossino, ex agente antidroga della Guardia di Finanza che oggi si batte per rimuovere lo stigma sociale che avvolge questa pianta.

Ciao Alfredo! Una domanda scontata ma necessaria: come stai?

A livello fisico sto bene; se guardo il lato emotivo-psicologico, meno: sono stanco di dovermi giustificare, ogni cinque minuti, per quello che faccio. Ora però ho uno strumento per raccontare la verità sulla mia storia.

A proposito di questo strumento: il 15 giugno è uscito Cannabis. La vera storia di un agente antidroga, edito da Edizioni Effetto. Quando è nata l’esigenza di scrivere questa autobiografia?

Nasce dopo anni in cui dignità, salute e libertà (diritti costituzionali) mi sono stati negati, a causa di una narrazione sbagliata, fatta da chi, al governo, dice che la cannabis è la porta d’accesso a eroina e crack. Se c’è una domanda in continuo aumento, è una tematica di cui bisogna parlare, attraverso un serio dibattito politico e culturale.

 
 
 
 
 
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Partiamo dall’inizio, ovvero la carriera nella Guardia di Finanza. Come sono stati quegli anni e per quanto tempo sei stato in servizio?

Appena diciottenne sono entrato nelle Fiamme Gialle; nel 1996 sono diventato Maresciallo Capo, lavorando nei reparti operativi in giro per l’Italia, soprattutto Napoli e Roma. Negli anni Novanta facevo parte del GOA, Gruppo Operativo Antidroga, fiore all’occhiello della Finanza nella lotta al narcotraffico e al contrabbando.

Che ricordo hai di quegli anni?

Sono stati anni faticosi e stressanti, un’esperienza a trecentosessanta gradi di contrasto alle grandi organizzazioni criminali: non trattavamo la minuta vendita, avevamo competenza nazionale e rapporti di cooperazione internazionale con altri reparti europei. Sapevo a che ora iniziavo il turno, mai quando sarebbe finito.

Immagino che questo stile di vita abbia portato delle conseguenze.

Assolutamente. Nel gennaio del Duemila, a trentasei anni, mi è stata riscontrata una patologia: artrosi cervicale, causata dal lavoro svolto; risultavo però ancora abile al servizio. Le ore passate in macchina e la continua tensione hanno aggravato la mia situazione, fino alla fine del 2005, quando è degenerata in spondiloartrosi cervicale con stenosi: difficoltà nel camminare, rigidità del collo, formicolio e parestesia, sintomi che mi hanno reso non idoneo all’attività operativa. Nel 2007, dopo diciotto mesi di aspettativa rinnovata di tre mesi in tre mesi, il congedo per causa di servizio.

 
 
 
 
 
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Come ti sentivi? Che tipo di farmaci hai utilizzato per calmare i dolori?

Sono rimasto solo con il mio dolore, al quale si è aggiunta la depressione. Nel frattempo, ero sotto effetto di oppiacei, unica tipologia di farmaci che mi hanno prescritto: una combinazione di fattori che, a quarantuno anni, ha bloccato la mia vita. Sono arrivato a pesare novanta chili e a non riuscire a fare neanche dieci metri a piedi; l’uso degli oppiacei a lungo termine intossica l’organismo: ero in un mondo ovattato, in cui non percepivo i rumori e gli input esterni. Il dolore, invece, rimaneva.

Non c’era nient’altro che potesse aiutarti?

Sì, un intervento, ma ne avevo paura perché si trattava pur sempre di un’operazione al collo. Mi decisi solo nel 2013, dopo che all’ennesima visita di controllo mi prescrissero il Lyrica (principio attivo Pregabalin) che, tra gli effetti collaterali, contava depressione e istinti suicidi. Dopo l’operazione la situazione è leggermente migliorata, anche se mi era stato detto che avrei dovuto prendere oppiacei per tutta la vita.

Sono stati anni dolorosi, nessuno ti ha mai consigliato un percorso di psicoterapia?

Mai. La mia psicoterapia è stata la cannabis.

 
 
 
 
 
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Quando e perché hai deciso di provare con la cannabis? C’è mai stato un momento, mentre la compravi o utilizzavi, in cui sei stato frenato dall’aver fatto parte delle Fiamme Gialle?

Ho preso questa decisione per disperazione. Vista la mia professione, sapevo che l’uso della cannabis non portava automaticamente alle droghe pesanti. Ho pensato principalmente alle conseguenze familiari: mia madre non ne voleva sapere, mi vedeva come “quello che si faceva le canne”, ruolo incompatibile con il mio passato in divisa; mia sorella, medico, non sapeva nulla dell’uso terapeutico della canapa.

Ovviamente ti sei dovuto rivolgere al mercato illegale: come ti sei sentito a passare, da guardia a ladro?

Se da un lato diminuiva il dolore fisico, dall’altro aumentavano frustrazione e ansia: dovevo frequentare le nelle piazze di spaccio; avevo paura dell’illecito amministrativo visto il mio passato. Tante preoccupazioni affollavano la mia mente: se ci sono le telecamere in giro? Se mi fermano che dico? Se non mi crede manco mia madre, perché dovrebbe farlo un agente? Sono passato da ex maresciallo, con amici nelle forze dell’ordine, a farmi amico lo spacciatore di turno. Non avevo il supporto di nessuno.

Ti ricordi la prima volta che hai provato sollievo, dopo anni di dolore?

Ricordo l’adrenalina di quando sono ritornato a casa. Ho provato un senso di distrazione dal dolore, dal pensare al dolore. Qualcosa di difficile da descrivere: mi sono sentito bene, per poco, e ho riprovato. Ho constatato che non mi sballavo, come invece si crede, anzi, tornava in me la voglia di fare che avevo perso. Gli unici effetti collaterali erano lo stigma sociale e le tasche vuote: ogni mese uscivano circa quattrocento euro.

 
 
 
 
 
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Il 9 novembre 2015 il primo segnale di cambiamento: il Ministero della Salute autorizza l’uso della cannabis medica. Cosa è cambiato per te?

Sicuramente è stato un passaggio importante, mi ha permesso di rientrare nella sfera della legalità e in parte di tamponare l’emorragia economica. La prima certificazione l’ho ottenuta a fine 2017: ovviamente c’è voluto un po’ prima che la norma fosse recepita, così per altri due anni mi sono dovuto rivolgere ancora alle piazze. È un bene che si sia fatta questa legge, ma si poteva scrivere meglio: è previsto che chi ne fa uso, non possa utilizzare l’auto per le successive ventiquattro ore. Questa norma è stata scritta rifacendosi ai dati sugli effetti collaterali dati dall’uso ricreativo, non da quello terapeutico: come faccio a muovermi se devo assumere più volte al giorno la mia terapia?

Nel libro sottolinei spesso che sei stato un uomo al servizio dello Stato e che “nel vero senso della parola, si è rotto l’osso del collo per il servizio operativo”: percepisco molta amarezza e senso di abbandono dal tuo ex datore di lavoro, è così?

Io ho barattato la salute in cambio di dignità e libertà. L’ho servito, mi sono rotto il collo per Lui, ho trovato la cura ma mi devo giustificare con tutti, limitando la mia socialità. Me lo sono rotto davvero, eppure non ho mai fatto richiesta di pensionamento. Gli altri si ubriacano liberamente e possono andare in giro senza problemi, mentre io per curarmi, mi devo nascondere?!

Mentre parliamo, una voce si alza dall’altra parte della videochiamata: spunta una signora. «È mia mamma, ha novantadue anni e si chiama, ironia della sorte, Maria. Prima non voleva sentire neanche parlare di cannabis, oggi è la mia prima supporter». La prova che non c’è età per cambiare opinione; prontamente mi risponde così: «Non ci vuole una laurea per capire le cose; serve solo questa», indicandosi la testa.

 
 
 
 
 
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A proposito di supporter, parliamo di legalizzazione? Immagino tu sia favorevole alla liberalizzazione e alla legalizzazione per scopi medici e ricreativi, senza vincoli di THC.

Certamente. Studi dimostrano che il THC (tetraidrocannabinolo, n.d.r.) favorisce la neurogenesi, mentre sostanze come l’alcol portano alla morte cerebrale. L’alcol è la sostanza da normare, bisogna offrire un’alternativa e quella può essere la cannabis, senza limiti sul THC: come fai a normare la biologia delle piante? La mia terapia prevede l’uso di cannabis al 22%: la sto utilizzando mentre parliamo e non mi sembra di essere poco lucido, no?

Nel tuo libro parli della legalizzazione come un’opportunità imprenditoriale da milioni di euro, un risparmio di risorse pubbliche e un ottimo strumento di lotta alla mafia, considerando che, cito, “si colpirebbe il cuore degli affari delle mafie”.

In Italia si stimano circa sette milioni di consumatori abituali; consideriamo in media che acquistino un grammo al giorno, che oggi sta a dieci euro: pensiamo a quante imprese potrebbero aprire, che indotto potrebbe generarsi. Un mercato enorme, oggi completamente nelle mani della criminalità: una rete di distribuzione capillare, aperta 7/7 tutto il giorno, che attira soprattutto i giovanissimi in giri da evitare. Se avessi un figlio, sarei più preoccupato del venditore e non della cannabis, il quale un giorno potrebbe offrirgli qualcosa di più pericoloso. Sembra un paradosso rispetto alla narrazione attuale, lo so: la legalizzazione, in questo modo, allontanerebbe dalle droghe pesanti.

Ascoltando però il parere di magistrati autorevoli quali Nicola Gratteri, si colpirebbe una minuscola parte dei proventi del narcotraffico, rappresentati dalla vendita di cocaina. Il mercato nero non rimarrebbe comunque un’alternativa più economica? La criminalità organizzata non deve certo rispettare filiere e tassazioni, che influenzerebbero il prezzo finale.

Gratteri è un ottimo magistrato, in servizio: deve applicare la legge. E come se io parlassi di legalizzazione ma con la divisa della Finanza addosso.

 
 
 
 
 
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Un’ultima domanda: in un tuo podcast, disponibile su Spotify, fai un appello al Presidente della Repubblica, affinché salute, libertà e progresso socio-culturale “non rimangano ostaggio delle ideologie politiche”: cosa speri per il futuro e per il paese che hai servito per oltre vent’anni?

Visto che il Governo è ostile a questa tematica, mi rivolgo a lui in quanto garante della Costituzione, affinché i diritti a me negati siano una volta per tutte una priorità. Prima della pubblicazione del libro mi mancava uno strumento di lotta che fosse pubblico: spero che possa contribuire ad aprire un dibattito serio sul taboo della cannabis.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios

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