Il dilemma a Rishikesh è “o ci sei o ci fai”.
Rishikesh è conosciuta come la “Porta d’ingresso dell’Himalaya”e la “Capitale mondiale dello Yoga”. Le è sempre stato attribuito un forte potere energetico tanto che il suo nome deriva da RISHI: saggio o veggente.
I saggi o veggenti, appunto, erano soliti ritirarsi in questa parte selvaggia dell’India vivendo dentro alle caverne circondati da tigri e da scimmie. Immersi nella giungla rigogliosa ai piedi delle montagne e con il Gange che ne bagna le coste. Praticamente un paradiso fatto di spiritualità e silenzio.
E adesso?
L’impressione è di essere catapultati in una frizzante cittadina, colorata, piena di gente che viene da tutto il mondo per praticare Yoga, meditare, recitare mantra sotto tendoni colorati, bruciarsi la lingua con cibi piccanti e dimenticarsi alcool e carne severamente vietati. La popolazione è accogliente. Sono contenti di averti lì, ti chiamano “man” anche se sei una “woman” ma fa niente… la loro onestà ripaga tutto. Ti riconcorrono se hai dimenticato la bottiglia dell’acqua o se si sono sbagliati a contare i soldi che ti spettavano. Non vanno forte con le indicazioni, se ti dicono “open” il posto è chiuso. Tutto costa poco e nessuno chiede l’elemosina, sono un po’ spericolati con gli impianti elettrici, le loro cerimonie religiose ti lasciano senza fiato, ma soprattutto Rishikesh è Yoga e il tappetino è la bacchetta magica.
Infinite le possibilità che la città offre nel campo dello Yoga. Corsi di Yoga intensivi per diventare insegnanti, pratiche per curiosi, scuole in ogni angolo e Ashram per i più spirituali. Lì puoi imparare Hatha, Vinyasa, Kundalini, Ashtanga, filosofia yogica, Yoga Nidra, Tantra, Yoga pre-parto, Yoga post-parto, Yoga aereo, cucina yogica, poi studiare musica e suonare campane di cristallo, tamburi, fare trattamenti Ayurveda, ricoprirti di olio per ore e offrire fiori agli Dei. Puoi attraversare il fiume in canoa, rilassarti nelle bianche spiagge che lo costeggiano, fare trekking, nuotare in piscine naturali circondati da piccole cascate e se sei fortunato vedere un funerale.
Se sei sfortunato, invece, dormire vicino a una location per matrimoni. In India i matrimoni durano più di una settimana. Si sa, gli indiani amano il rumore. Usano il clacson per fare qualsiasi cosa: per salutare qualcuno, per avvertire che stanno arrivando, per avvertire che stanno partendo, per girare a destra, a sinistra, per fermarsi, per far spostare una mucca, un cane, una scimmia. Il risultato è che quando si torna in Italia la caotica città lasciata appare silenziosa come uno chalet immerso nella neve.
Tornado di nuovo a Rishikesh, lo Yoga e la città ti stregano, la combinazione dei due ha ancora qualcosa di magico e primitivo che conserva con cura e che ti arriva addosso forte come uno schiaffo. Vieni spogliato da inutili orpelli, ti viene insegnata la quiete in mezzo al rumore, ti viene dimostrato come è semplice svegliarsi all’alba per dormire più profondamente, ti spiegano la gentilezza verso gli animali che non vengono mangiati ma onorati, ti viene suggerito di tenere i piedi per terra, camminare sempre scalzo.
Ti insegnano a chinare il capo e mettere le mani in preghiera solo per salutarsi o per dire grazie o per iniziare una lezione o per semplice rispetto. Ti consigliano di non volere più di quello che hai, ti esortano a respirare, ti suggeriscono di fermarti. Ti danno gli strumenti per auto-curarti, auto-abbracciarti e auto-risponderti, ti fanno capire che non c’è niente da cercare, ti insegnano a vedere e non a guardare finché un giorno, appena terminata una meravigliosa pratica di Hatha Yoga sul rooftop di un Ashram al tramonto ti chiedi: “vedo tutto questo solo perché mi sono fatta 6000 chilometri di viaggio e se non lo vedessi sarei una cogliona?”
Chi lo sa…
Foto di Claudia Riva