lunedì, 07 Ottobre 2024
lunedì, 07 Ottobre 2024
  • it
  • en
lunedì, 07 Ottobre 2024

Nudi dietro la maschera

Tempo di lettura: 5 min.

Cade l’obbligo delle mascherine, riaprono le discoteche, l’Europa allarga le maglie. Due anni dopo il Covid sembra battuto. Ma dietro al dispositivo di protezione che ci ha accompagnato in questo lungo incubo cosa è rimasto di noi? Ce lo spiega uno psichiatra che ha chiuso i manicomi e cita Vasco Rossi.

Cade l’obbligo della mascherina all’aperto, riaprono le discoteche, lo stato di emergenza sta per diventare un ricordo. Seppur in modo disomogeneo, tutta Europa allarga le maglie mentre politici, scienziati ed economisti sgomitano alla ricerca della vittoria nella gara a chi annuncia per primo la fine dell’epidemia da Covid 19.

Due anni dopo, dunque, abbassiamo la maschera. Ma dietro al dispositivo di protezione che ci ha accompagnato in questo lungo incubo cosa è rimasto di noi? Dei nostri ragazzi? Delle nostre certezze? Della nostre ricchezze? Della nostra fame di onnipotenza? Lo abbiamo chiesto al professor Angelo Righetti, 73 anni, esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Onu, ex braccio destro di Franco Basaglia nella battaglia che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi.

Professore, togliere la maschera cosa significa?

«Significa cercarne subito una adatta per potere immaginare che esista un futuro»

In che senso scusi?

«Della maschera non si può fare a meno»

Ci faccia capire.

«Quella che abbiamo indossato fino al 2020 è una maschera che prevedeva l’immortalità. L’immortalità dei consumi, della crescita infinita, della disponibilità dell’ambiente in ogni sua parte e del denaro».

Quella mascherà è caduta?

«È stata spazzata via dal virus ed è emersa in modo evidente e chiaro la nostra fragilità. Non possiamo più evitare di farne conto»

Possiamo convivere con quello che è successo?

«Vedremo. Una cosa è certa, non possiamo più prenderci in giro».

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un post condiviso da Acrimònia Studios (@acrimoniastudios)

Durante questo periodo hanno preso la scena due figure chiave. Da una parte lo scienziato, il virologo nella fattispecie. Dall’altra lo stregone, il negazionista. Fa riflettere il fatto che non ci sia stata un’affermazione netta dell’uno sull’altro.

«Entrambe sono figure consolatorie. Però, a mio parere, le parti si sono invertite. Ovverosia, i virologi sono diventati il nostro talismano, un po’ stregonesco e molto rassicurante. Nella lotta al virus sono stati molto chiari: l’unica cosa che possiamo fare, hanno detto, è mettere in piedi un vaccino, che poi non basterà, e invitare la popolazione a rafforzare l’igiene e a indossare le mascherine».

Niente di stregonesco, no?

«Siamo noi che abbiamo voluto a tutti i costi attribuire loro un ruolo magico».

Perché?

«Perché abbiamo bisogno di pensare che esista comunque uno stregone che ci indichi le possibili soluzioni. È la magia della scienza».

La magia della scienza? Non è una contraddizione in termini?

«No, la magia della scienza è positiva. Perché rassicura ma allo stesso tempo ne definisce i limiti. La scienza arriva fino a un certo punto. Certo, le quattro regole che ha messo in campo sono state importantissime per salvare molte vite. Il problema sono le cose non dette».

Le cose non dette?

«Il fatto è che sia stato turbato un equilibrio di cui poco sappiamo. Noi abbiamo creduto di poter vivere come individui, come singoli agenti economici. Ma questo non è possibile. Il rapporto con la natura, l’ambiente, gli altri esseri viventi, gli animali, le piante, ci è indispensabile».

Il mondo però sta prendendo coscienza di questo, non crede?

«Stiamo capendo che molte delle cose che dobbiamo fare sono le cose che non abbiamo mai fatto. Sappiamo che dobbiamo aumentare il tasso di ossigeno e diminuire quello di anidride carbonica. Ce la faremo? Non lo so»

Torniamo ai negazionisti. Anche sul fronte ambientale la schiera è nutrita. Qual è il modo con cui relazionarsi con chi nega e basta?

«Non ti curar di loro, ma guarda e passa diceva Dante. Ho trovato la rilettura di questo atteggiamento in una canzone del mio compaesano Vasco Rossi, “L’undicesimo comandamento”. Di fronte all’ignoranza è meglio arrendersi. Non c’è niente da fare. Nel mondo esiste questa evidenza: e non si può cambiare».

Il rischio è che un atteggiamento di resa faccia il loro gioco. Non crede?

«No, perché? É una modalità attraverso la quale noi possiamo guardare, accettare la nostra fragilità riflessa nell’altro che dice stronzate, per essere esplicito, e arrenderci a all’evidenza che questo esiste essendo frutto di una presa di posizione che ignora completamente la relazione dell’uomo con la natura e immagina di essere solo e potente nell’universo. In questo senso la loro posizione è sciamanica, più che stregonesca. Conviene arrendersi è un paradosso straordinario. Perché da un lato ti mette di fronte alla nostra debolezza, ma allo stesso tempo ti spinge a combattere amorevolmente l’ignoranza».

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un post condiviso da Acrimònia Studios (@acrimoniastudios)

La scoperta della fragilità, il lockdown, il distanziamento sociale hanno generato uno choc soprattutto nei giovani. Quali danni hanno provocato?

«In primo luogo un prorompente malessere sulla salute mentale dei ragazzi. Lo vediamo nei numeri delle persone che chiedono aiuto. Si è  determinato uno stato di incertezza verso la quale i giovani sono sprovvisti di difese».

Quali difese?

«Abbiamo passato tanto tempo a spiegare che il tema fondamentale per gli esseri umani in crescita era raggiungere l’autonomia, l’indipendenza. Abbiamo scoperto che l’autonomia è pornografia, un concetto totalmente errato».

Ci faccia capire.

«È molto semplice, o viviamo nell’interdipendenza o siamo finiti».

Quindi la dipendenza, ad esempio la dipendenza dai genitori, è una cosa positiva?

«Certo. Se noi nati nel primo dopoguerra non fossimo stati dipendenti dai legami con i nostri padri, i nostri nonni, i nostri maestri non avremmo sviluppato la nostra emancipazione».

Sta sostenendo che spingendo fuori di casa i ragazzi, definendo bamboccioni quelli restii a staccarsi dalla famiglia, abbiamo sbagliato tutto?

«La crisi che abbiamo attraversato ci ha messo davanti al fatto che il concetto fondamentale è quello della condivisione. Anche conflittuale, ma condivisione. Noi abbiamo confinato i nostri nonni prima e i nostri genitori poi nelle case di riposo perché ciascuno doveva essere autonomo e se non lo era più diventava non autosufficiente».

Per quale motivo è successo tutto questo.

«Perché l’individualismo costruisce i consumatori perfetti, alienati dentro la dipendenza dei consumi a oltranza».

Quindi in ragione del profitto sono stati abbattuti i legami interumani?

«Proprio così. Non abbiamo capito che dai legami interumani nasce la nostra potenza, la nostra possibilità. Così abbiamo allontanato i vecchi, i giovani e tutti coloro che in qualche modo potevano diventare ottimi consumatori».

I giovani hanno pagato il prezzo più alto.

«Perché sono quelli più esposti. Ci sono 3,5 milioni di giovani che non studiano, né lavorano. È questo il prodotto del nostro rutilante progresso?».

La pandemia ha scoperchiato il pentolone, no?

«La pandemia ha portato a galla l’impossibilità di andare avanti in questo modo. Non si può togliere il rispetto alle relazioni umane. Non si può eliminare ogni legame che non sia in qualche modo collegato alla ragione del dare e avere e del massimo profitto».

Quindi il virus, in qualche modo, è anche stato utile?

«Se noi prendiamo atto di tutto questo sì. Ma se ciò non accade, neanche le misure contro il virus saranno sufficienti. Bisogna prendere atto dei danni che abbiamo provocato all’ambiente, al clima, alla costruzione della diseguaglianza. Dei danni che vengono creati attraverso l’etica della guerra».

Anche alle porte d’Europa soffiano di nuovo venti di guerra, ma tutti pensano che la guerra sia una cosa che riguarda solo quelli che la fanno. Perché?

«Perché è funzionale al potere. La realtà è che con quello che si investe per produrre armi si potrebbe sfamare tutto il mondo e riparare ai danni che abbiamo arrecato alla terra».

E allora cosa lasciamo ai giovani?

«Dobbiamo invitarli a lottare, lottare, lottare. Ancora una volta voglio prendere spunto da una canzone di Vasco Rossi. Ai giovani dobbiamo urlare di non commettere l’errore di “nascondere quello che sei dentro quello che hai”. Quella frase è un lampo, una coltellata al cuore di tutti noi. Dentro c’è la strada che porta a un domani migliore».

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un post condiviso da Acrimònia Studios (@acrimoniastudios)

150 150 Gierreuno
Chi cerca, trova