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Intervista alla psicologa psicoterapeuta Vania Sessa: pandemia e salute mentale giovanile

Passiamo tutta la vita nella nostra mente, è un dovere ed un diritto renderla un luogo accogliente

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Io e Fabiola conosciamo la Dottoressa Vania Sessa tramite una videochiamata. Seppur separate da uno schermo, riesce subito ad infonderci una sensazione di calma e tranquillità, quella vibrazione che ci si auspica di trovare nella figura di una psicoterapeuta. Deformazione professionale? In parte sì, ma è evidente una buona dose di empatia ed umanità che va oltre la professione ed è propria della sua persona.

Siamo a nostro agio, procediamo con il porre le domande per l’intervista stilate qualche giorno prima, per ritrovarci poi, verso la fine, ad andare a ruota libera, incuriosite dall’argomento.

Perché la pandemia ha colpito tutti, ma si tende a discutere dell’emergenza sanitaria ed economica e decisamente meno dei disagi riguardanti la salute mentale.

Quest’ intervista vede come protagonisti coloro che spesso sono stati dimenticati: i giovani.

 
 
 
 
 
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In che modo la pandemia ha colpito i giovani a livello mentale?

I giovani attraversano una fase molto delicata del loro sviluppo determinata da un passaggio dalla dipendenza dal nucleo familiare all’autonomia. É questa una fase di svincolo che si realizza proprio attraverso il confronto con il gruppo dei pari in cui si sperimenta una autonomia presunta o per lo meno maggiore rispetto a quella che si può esercitare a casa.

Con la pandemia e il relativo ritiro sociale sono venuti a mancare quegli aspetti di contatto e sperimentazione, che sono parte integrante della crescita di un adolescente e di un giovane adulto. 

Anche se in alcuni casi il ritiro dalle relazioni è stato vissuto come addirittura facilitante non dobbiamo dimenticare il rischio disfunzionale che tali forme di solitudine possono assumere.

Gli effetti della pandemia dunque si sono inseriti in un periodo dello sviluppo in cui possono emergere dei comportamenti disadattivi (come disturbi alimentari, affettivi/sessuali, dipendenza da sostanze, disturbi di ansia, dell’umore, tagli, ritiro sociale ecc.) che se non gestiti in tempo si possono radicare nella vita adulta.

Chi aveva delle risorse familiari, personali, relazionali o creative prima della pandemia se l’è cavata sicuramente meglio in termini di adattamento di altri più svantaggiati.

I ragazzi hanno un approccio più aperto al tema della psicoterapia rispetto al passato? O il tabù della salute mentale permane? C’è ancora vergogna nell’ammettere di rivolgersi ad uno specialista?

L’approccio è più aperto al tema perché si parla sempre di più di salute mentale nelle scuole sia per la presenza di uno sportello di ascolto psicologico che per la realizzazione di progetti aventi come tema affettività, bullismo, cyberbullismo, tematiche LGBTQI+

L’imbarazzo o addirittura il tabù per la salute mentale permangono quando sono legati alla paura di essere considerati diversi dal gruppo dei pari e alla mancata comprensione da parte del proprio ambiente familiare e culturale. Quando ci sono aspetti personali di maggiore fragilità si ha un gran bisogno di consenso da parte del contesto e in special modo in questa parte della vita.

I giovani invece dopo i 18-20 anni mi sembrano in generale più motivati e liberi di scegliere, specie se hanno amici che hanno fatto questa esperienza o un ambiente familiare che favorisce l’autonomia e lo sviluppo di sé.

Che percorso consiglierebbe per la riabilitazione post pandemia degli adolescenti?

Un percorso che tenga conto di un approccio psicofisico che tenga conto dell’importanza dell’unità mente-corpo. Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattia o infermità”

É importante che si dia ai giovani la possibilità di esprimere i vissuti emotivi, sia per aiutarli a chiarire la fisiologica confusione di sensazioni ed emozioni che è in loro, che per gestire eventuali stati indotti dalla pandemia

In tal senso è molto importante un approccio che includa l’attività fisica, il contatto con la natura e la ripresa delle relazioni sociali dal vivo per riattivare il sistema esploratorio dei giovani attraverso cui si sviluppano autonomia e creatività.

In che modo la scuola può supportare il recupero?

La scuola è un ottimo luogo di socializzazione, di contatto e confronto tra pari. I professori in questo posso fare un ottimo lavoro per sviluppare il confronto e sostenere i giovani in questa faticosa ripresa.

Anche se gli insegnanti, compatibilmente alla loro formazione, non possano certo sostituirsi agli psicologi ma (anche con il loro supporto) possono essere degli ottimi osservatori e in questo fare da tramite con le famiglie segnalando eventuali disagi.

Quanto hanno inciso gli effetti della pandemia nel fenomeno della “dispersione” e dell’abbandono scolastico?

Da un paio di ricerche private (IPSOS e Comunità di sant’Egidio), i cui risultati sono da prendere con cautela, sembra che a un anno e mezzo dalla pandemia ci sia stato a livello nazionale il 27% della dispersione scolastica con picchi del 40% in alcune realtà del sud. Si è creata così una frattura tra scuole di serie A e di serie B, tra centro e periferia e tra nord e sud.

Hanno inciso su questo per esempio la capacità degli insegnanti di essere informatizzati così come la difficoltà di alcune famiglie ad aderire alla didattica a distanza: pensiamo a chi non poteva permettersi di fornire uno strumento per collegarsi, a chi aveva numerosi figli, o poco spazio in casa, a chi era straniero o poco scolarizzato e si è trovato a impartire lezioni ai propri figli senza averne gli strumenti. 

Si stima che dal 2020 circa 200 mila studenti siano usciti dalle scuole. 

Non dimentichiamo però anche l’impatto di quella dispersione scolastica non evidente dove i ragazzi risultano andare a scuola ma non seguono le lezioni o fanno fatica ad apprendere. 

 
 
 
 
 
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Oltre alla psicoterapia, cosa consiglia ai ragazzi per “alleviare” gli effetti della pandemia? Cosa sconsiglia invece?

Consiglio sempre l’espressione dei vissuti emotivi e per farlo di considerare la possibilità di rivolgersi a degli adulti di riferimento o ai propri amici. Di fare attività fisica, aprirsi al contatto con la natura e alle relazioni sociali per coltivare le competenze affettive, relazionali e la creatività.

Sconsiglio le generalizzazioni, ogni persona è a sé, con il proprio contesto familiare, sociale e culturale, i casi vanno perciò valutati singolarmente.

 
 
 
 
 
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Si parla a sufficienza di salute mentale in Italia?

Se ne parla ma non abbastanza. Le persone durante la pandemia hanno compreso molto l’importanza della psicologia ma a livello politico non sembra ancora venga fatto abbastanza. 

Solo con il DPCM del 2017 la psicologia e la psicoterapia è stata introdotta ne i LEA (i Livelli Essenziali di Assistenza sono attività, servizi e prestazioni sanitari che il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) assicura al cittadino, grazie all’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche) e da  quel momento una serie di riforme si stanno sviluppando.

Si parla per esempio della figura dello Psicologo di Base da affiancare al Medico di Medicina Generale o il Pediatra di Libera Scelta e da pochissimo è stata introdotta in alcune regioni, come nel Lazio, la figura dello psicologo nella continuità assistenziale (ossia in Guardia Medica). 

In Francia per esempio è stato offerto ai giovani (bambini e adolescenti) un pacchetto di sedute per gestire gli effetti psicologici della pandemia. Mentre in Italia il bonus al momento è stato concepito solo per il monopattino.

Le giovani generazioni avranno danni permanenti causati dal Covid-19?

Spero di no, non mi piace pensare a danni permanenti ma a difficoltà che si sono state accentuate. Il Covid-19 non ha creato effetti psicologici nuovi ma ha esasperato quanto era già in nuce nelle persone. In sostanza è andato ad appoggiarsi su quanto c’era già.

Come ogni evento traumatico, la pandemia ha portato con sé dei fattori di rischio e allo stesso tempo ha offerto la possibilità di riorganizzare la propria vita attraverso lo sviluppo di resilienza (possibilità di cambiare aumentando la propria forza interiore) e empowerment (autoefficacia). 

La psicoterapia è accessibile a tutti? O risulta troppo onerosa per chi ha un basso reddito?

Per chi ha un basso reddito nel privato è troppo onerosa mentre nel pubblico l’offerta è ancora poca e rarefatta. 

Basti pensare che durante l’emergenza del primo lockdown ci siamo attivati tra colleghi e associazioni per offrire sostegno gratuito alla popolazione, in un momento in cui tutti quanti, anche noi professionisti, eravamo coinvolti dall’impatto dell'evento. 

Penso che una società che abbia a cuore il benessere dei propri cittadini non possa basarsi sul volontariato e sull’emergenza ma strutturarsi in modo più saldo sul territorio. Del resto è dalla qualità dei servizi territoriali sulla salute che si coglie il livello di sviluppo di una società.

Come scegliere lo psicoterapeuta perfetto e come capire se quello che stai consultando non lo è?

Non esiste lo psicoterapeuta perfetto, ma quello adatto a te. In linea generale comprendi di stare nel posto giusto se qualcosa ti fa sentire a tuo agio e in grado di aprirti, nonostante la paura di sentirti giudicato. 

Si tratta primariamente di un incontro tra due persone, e anche in questo caso il professionista deve comunque entrare nelle proprie “corde”: può piacere o meno.

Molte celebrità si stanno esponendo sul tema della salute mentale ( da Kendall Jenner ad Harry e Meghan). I loro interventi pubblici sono un buon passo verso la normalizzazione o siamo di fronte a una nuova moda?

Mi sembra un ottimo passo verso la normalizzazione. 

Per fortuna ci hanno pensato il principe Harry o la nota influencer Chiara Ferragni a superare imbarazzo e vergogna per parlare dell’importanza della psicoterapia e della loro esperienza con l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) tecnica utilizzata per rielaborare situazioni traumatiche.

Le persone di norma non leggono le riviste scientifiche per informarsi ma le riviste e i social, e per questo la loro opera di diffusione mi sembra importante ed apprezzabile.

Dopo il brutto periodo di pandemia che abbiamo vissuto e la lunga ricaduta che ci troveremo ad 

affrontare mi auguro che possa prendere uno spazio sempre più ampio la cura del benessere nelle nostre società. E la psicoterapia può migliorare sostanzialmente la qualità di vita delle persone.

 
 
 
 
 
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Quanto dura generalmente un percorso di psicoterapia?

È molto soggettivo, dipende da cosa si vuole ottenere, da quale condizione psicologica si parte e da quale disponibilità si ha verso un percorso di consapevolezza. Se si vuole una consulenza si tratta di pochi incontri, se si cerca un sostegno per una situazione specifica della vita può durare qualche mese, se si vuole invece rielaborare qualcosa di più importante della propria personalità mediamente si parla di un percorso di 2-3 anni.

C’è poi chi continua il percorso per più tempo perché trova fruttuoso avere un confronto che duri più a lungo per ottenere dei cambiamenti nella propria esistenza.

Lei consiglierebbe questo percorso anche a chi non ha vissuto traumi o non ha necessità specifiche?

Tendenzialmente, chi viene in terapia, dice unanimemente che la consiglierebbe a tutti.

È pur sempre vero però che non si può intraprendere un percorso di scoperta di sé stessi senza motivazione, qualunque essa sia ci deve essere, che sia anche solo di scoperta di sé o di adattamento in qualche ambito della propria vita.

Come si comprende di essere giunti al termine del percorso?

Quando è arrivato il momento si percepisce e nella migliore delle situazioni la fine di un percorso è concordata tra il terapeuta e la persona. Questa fine può avvenire sia quando sono stati raggiunti gli obiettivi desiderati che quando il lavoro insieme non ha portato i suoi frutti.