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Quanto vale la moda in Italia?

Impiega il 10% della popolazione, nel 2023 raggiungerà un fatturato di circa 100 miliardi di euro, di cui l’80% grazie alle esportazioni. Come nasce, si sviluppa e prospera uno dei settori chiave della nostra economia

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Sessantamila sono le imprese in Italia che lavorano nel settore moda, circa cinquecentomila addetti sono coloro che ci lavorano, in parole povere poco meno del 10% della popolazione italiana. 

Sono dati importanti in termini di peso che il settore moda ha nell’economia italiana ai quali va aggiunto il fatturato complessivo che nel 2023 ha raggiunto quasi 100 miliardi di euro (secondo i dati di Confindustria moda), di cui circa l’80% è relativo alle esportazioni. 

Risultati che posizionano la moda al quinto posto come settore industriale italiano, un traguardo di tutto rispetto che permette poi eventi come la Fashion Week a Milano che generano un giro di affari indotto pari a circa 80 milioni di euro e circa un milione di visitatori. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Max Mara (@maxmara)

Sono numeri che fanno pensare se poi c’è ancora chi identifica il “vestire” o “l'abbigliarsi” come qualcosa di frivolo, divertente, quasi un palcoscenico lontano dal quotidiano. 

La prima sfilata in Italia si svolse nel 1951 a Firenze a Villa Torregiani in casa di Giovanni Battista Giorgini, sfilarono brand come Sorelle Fontana o Emilio Pucci e furono invitati buyer internazionali e editor famosi come Vogue o Harper Bazar. 

Fu dunque il dopoguerra a vedere i natali dell’industria della moda, quel dopoguerra che ha visto sorgere le più grandi imprese italiane di tutti i settori, quel dopoguerra che ha visto gli italiani rimboccarsi le maniche e provare a creare qualcosa con le risorse a disposizione, perché in fondo non c’era altra scelta. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da PUCCI (@emiliopucci)

Ma la moda in Italia ha radici ancora più antiche, dovute al bisogno di coprirsi, ma non solo. Il bisogno di vestirsi in un certo modo a volte nasceva dalla necessità di mostrare la famiglia di appartenenza o la nobilità. A Napoli i principi e signorotti del luogo hanno dato vita alla sartoria proprio perché avevano bisogno di qualcuno che cucisse per loro abiti su misura. 

Nascono così i distretti in Italia, i distretti della moda, quelli che assegnano una particolare abilità di produzione ad una particolare zona. Quindi in Toscana sono abili a lavorare le pelli (e qui nascono grandi brand di scarpe o borse come Gucci e Ferragamo); in Umbria si è bravi a utilizzare la lana delle pecore allevate (e dunque nascono brand del cachemire come Cucinelli o Loro Piana); a Como e dintorni si lavora la seta eccetera eccetera. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da FERRAGAMO (@ferragamo)

Le sfilate e le fiere sono eventi che permettono di mostrare al pubblico (e ai compratori esteri soprattutto visto che vendiamo loro più dell’80% della nostra produzione), le realizzazioni di brand più o meno noti. Le sfilate dei brand del lusso invece ultimamente sono diventate dei veri e propri spettacoli, show destinati a creare il desiderio, l’aspirazione ad avere un certo capo o accessorio. 

Che sia lusso o no, il settore moda impegna circa il 10% dei nostri connazionali, senza considerare chi lavora nei settori collegati e chi nei giorni di Fashion Week o eventi similari vede triplicare il proprio giro di affari. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da coperni (@coperni)

Vale la pena quindi fare attenzione alla moda e ai propri eventi, sia perché in fondo ogni giorno indossiamo qualcosa che è stato ideato o copiato da uno dei 500 mila connazionali che ci lavorano, sia perché in tutto il mondo si guarda alla moda italiana come fonte di ispirazione (e a Milano per la prossima Fashion Week). 

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios