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Perché a 30 anni ci si vergogna di essere single?

Le relazioni che iniziano al liceo e finiscono all’improvviso sono la condanna di chi, all’alba del terzo decennio di vita, pensava di aver vinto sulle domande scomode.

Di

“Quando ti sposi?”“Perché non ci regali un nipotino?”“Ma alla fine siete più andati a vivere insieme?”. La visione tradizionale della cena di Natale con zii e nonni pressanti non è “roba da film”. Almeno non solo da film.

Tra pandori e panettoni, canditi e tortellini la domanda che gela anche i ribelli arriva spesso come un fulmine a ciel sereno, con un tortellino in gola. Di solito è lo/a zio/a di turno che dopo un inverno passato davanti a Myrta Merlino su Pomeriggio Cinque muore dalla voglia di sparare una cartuccia delle sue. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Dott.ssa Annalisa Di Ruocco (@rifletti_con_la_psicologa)

Coinvolgendo l’amico ChatGPT nella ricerca dei motivi che portano i poveri 30enni, già costretti a gestire eco-ansia, polveri sottili, sfighe economiche, pensioni che sfumano in cielo e governo nero, al senso di vergogna, si elencano:

  • Aspettative culturali: in alcune culture, inclusa quella italiana, può esserci una forte enfasi sulla famiglia, il matrimonio e la procreazione. Questo porta alla percezione che il successo nella vita includa la creazione di una famiglia. La mancanza di un partner o la scelta di essere single potrebbero essere percepite come una deviazione da queste aspettative culturali.
  • Pressioni sociali: gli individui possono subire pressioni sociali da amici, familiari e colleghi. Queste pressioni portano a sentirsi inadeguati o a vergognarsi di essere single.
  • Media e pubblicità: i media e la pubblicità spesso promuovono stereotipi romantici e familiari che possono influenzare le aspettative delle persone sulla loro vita personale (n.d.r. Lo spot di Esselunga ricorda qualcosa?).
  • Autorappresentazione: alcuni si sentono giudicati negativamente a causa della loro situazione sentimentale. Queste sensazioni possono suscitare vergogna.
 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Annuni (@real_annuni)

Anche se ChatGPT ha sempre ragione, abbiamo cercato di umanizzare - non ce ne voglia il nostro fido complice - i punti di vista dei ragazzi in questione e intervistato direttamente qualcuno di loro. 

Lorenzo (nome di fantasia), 29 anni chiude, non per sua volontà, una storia dopo 5 anni. “Non sono triste, più che altro confuso…”. Aveva in mente un progetto e ora si ritrova, improvvisamente, da solo. “Chi avrà mai più la voglia di impegnarsi e soprattutto chi glielo dice a mamma?.

Elena (nome di fantasia), 27 anni è più razionale. Come tutte le donne. “Quando una storia è finita, non bisogna cercare di salvarla. Bisogna chiuderla”.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da The Wom (@thewom)

Ma non è mai o bianco o nero e Gaia (nome di fantasia), 32 anni ne è la dimostrazione. “Il problema più difficile è accettare la fine di una storia, di un matrimonio, di un’amicizia come evento parte della vita. Normalizzare e non farsi sopraffare da pressioni socio-culturali che hanno stancato tutti. Anche i nostri genitori.”

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios