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L’educazione sessuale e affettiva nelle scuole è ancora rimandabile?

L’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole non può più essere una questione marginale.

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Oggi, stati europei e organizzazioni sovranazionali hanno introdotto strumenti per un cambio culturale radicale. E in Italia? Ne abbiamo parlato con Massimo Farinella, responsabile dell’area Salute del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

Ciao Massimo, parlaci un po’ dell’associazione di cui fai parte.

Il Circolo è nato negli anni Ottanta, in un contesto romano molto complicato. L’HIV dilagante, le aggressioni ai giovani omosessuali: su tutti, l’omicidio di Salvo Pappalardo, trovato morto nei giardini di Monte Caprino, scosse molto la comunità omossessuale, la quale decise di fare fronte comune nella lotta per la rivendicazione dei propri diritti. Nel 1983, dall’unione delle associazioni Fuori e Collettivo Narciso nasce il circolo, intitolato a Mario Mieli, scomparso nello stesso anno.

Chi era Mario Mieli?

È stato una personalità importante per la nascente comunità LGBTQ+ italiana: un intellettuale milanese che ha anticipato le odierne teorie gender fluid e della non binarietà, ma anche riflessioni sul patriarcato e sul capitalismo. Rileggere oggi il suo Elementi di critica omosessuale vuol dire confrontarsi con tematiche attuali espresse con parole diverse. Una personalità controversa, anche all’interno del movimento stesso, che ha fatto della performance e del suo corpo uno strumento di lotta e di manifestazione. Oggi è ancor più pesante portare il suo nome: è però giusto, perché ricorda un certo modo di fare politica.

 
 
 
 
 
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La sensibilizzazione nelle scuole è una delle vostre attività principali. Quali sono le difficoltà che incontrate?

Prima gli incontri erano sporadici e avvenivano durante le assemblee studentesche: si parlava di HIV, identità di genere e orientamento sessuale. Nei primi anni Duemila, invece, abbiamo iniziato a collaborare con il comune di Roma sulla tematica del bullismo, fortemente legata a quella della sessualità quando entri in una classe. Era più facile entrare nelle scuole, forse perché c’era meno visibilità e più apertura da parte di presidi e genitori. Oggi sono sì aumentati i programmi (molto carenti) istituzionali sul tema, ma ci sono più docenti preoccupati delle reazioni dei ragazzi. Quando un tema è ben visibile, paradossalmente si rischia di trovare più ostacoli.

Genitori e insegnanti sono coinvolti nel vostro progetto: avversari duri da affrontare o grandi alleati?

Organizziamo incontri con alunni, genitori e docenti, che avvengono separatamente: il comune denominatore rimane la scuola. I docenti spesso sono alleati, coinvolgono i colleghi; molti non credo siano respingenti nei confronti dell’argomento, ma schiacciati dai programmi e dalla burocrazia scolastica. Possono diventare un ostacolo quando sono troppo partecipi, quando vogliono assistere agli incontri con gli studenti: c’è il rischio che i ragazzi non si sentano pienamente liberi di parlare. Riguardo i genitori: tolti i rari casi-limite in cui si oppongono, spesso non ostacolano il progetto, ma neanche partecipano.

 
 
 
 
 
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Dante li avrebbe accusati di ignavia! Secondo te, i genitori da cosa sono messi in difficoltà?

Non sanno come prendere l’argomento; hanno paura di affrontare i figli, non comunicano: emozioni e sessualità sono ancora visti come un taboo. Un esempio: i ragazzi sentono parlare di femminicidio, ma nessuno intavola un discorso sulla consensualità; non hanno con chi confrontarsi su argomenti più profondi.

Parliamo del progetto EduforIST, di cui, come associazione, siete un importante attore: di che si tratta?

Facciamo parte della Sezione CTS [Comitato Tecnico Sanitario, n.d.r.] del volontariato per la lotta contro l'Aids. Nel 2019 abbiamo chiesto al Ministero della Salute di avviare un grosso progetto di sensibilizzazione nelle scuole, con l’obiettivo di fare dell’educazione sessuale una materia scolastica. Sono quattro anni che il progetto va avanti: dopo una prima fase di analisi della situazione sul territorio (consultori, ASL, sportelli regionali…), per capire cosa si facesse in materia di sessualità in Italia, abbiamo iniziato una fase di sperimentazione di comprehensive sexuality education nelle scuole: non si parla solo di sessualità, ma anche di emozioni e relazioni.

Come avvengono gli incontri?

Il progetto completo prevede cinque incontri da due ore l’uno per classe, l’ultimo dei quali di confronto sull’esperienza complessiva. Non sono lezioni frontali ma momenti di dialogo aperto, con l’aiuto di slides, giochi e role playing.

 
 
 
 
 
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Quanto è importante la componente di educazione affettiva e quanto invece quella sessuale?

Sono ben bilanciate, a cambiare è l’approccio, anche in funzione delle esigenze della classe: non basta più parlare di rapporti sessuali e di anatomia dei genitali; bisogna parlare di emozioni e relazioni. In altri Stati, si inizia a parlare di educazione alla sessualità estensiva già alle elementari.

Tra le finalità del progetto c’è il favorire il senso di responsabilità nei confronti di infezioni sessualmente trasmissibili, gravidanze indesiderate e delle diverse forme di abuso nelle relazioni. C’è la stessa sensibilità da parte dei ragazzi?

Ovviamente sono tutte e tre collegate. L’argomento gravidanza è quello percepito più vicino; c’è interesse anche sulle IST [infezioni sessualmente trasmesse, n.d.r.], sebbene ci sia pochissima informazione: non ci sono spazi dove essere ascoltati. Il tema che fa più paura è quello dell’abuso: alcuni comportamenti sono evidenti già in classe, e si riflettono poi nelle relazioni. Non ci pensano; nessuno ci ha mai detto come vivere le relazioni oltre il sesso.

 
 
 
 
 
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Un’ultima domanda: dopo le violenze di questi mesi, è stata invocata a gran voce l’educazione sessuale nelle scuole come strumento per il cambiamento, pensa sia davvero la panacea per questo male?

Non è una panacea ma un bel mattoncino per il cambiamento. Se ci fosse un’educazione reale, che vada oltre la favola dell’ape sul fiore, si potrebbe iniziare a porre le basi per una rivoluzione culturale reale. I figli crescono per emulazione: se nessuno attorno a te insegna che abusare di una ragazza è sbagliato, non c’è margine di cambiamento. Bisogna ascoltare i ragazzi, ci vuole tempo ma bisogna iniziare: emanare decreti che inaspriscono le pene non fa molto.

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios