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Uomini, i grandi assenti nel dibattito sulla violenza di genere

Abbiamo chiesto ad alcuni uomini di riflettere sull’ondata di violenza di queste settimane, andando oltre la semplice condanna dell’accaduto. La lotta femminista è un nostro dovere? Siamo capaci di metterci in discussione?

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Dalla cronaca di queste settimane, sembra che l’Italia abbia scoperto di avere un problema nei rapporti di genere: a quanto pare serviva l’ennesimo stupro, con annesse vomitevoli chat goliardiche. L’ondata di indignazione di questi giorni rischia di durare quanto una bolla di sapone: tutti concentrati sull’atto violento in sé, ovviamente da condannare, pochi quelli che si sono interrogati sulle cause alla radice dello stupro. Qualcuno l’ha fatto nel peggior modo possibile, cadendo nel più becero victim blaming: “se eviti di ubriacarti, magari eviti di incorrere nel lupo”.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da The Wom (@thewom)

Tra gli attori di un dibattito più profondo c’è un grande assente, l’uomo: sì, perché i primi a porsi certe domande dovremmo essere proprio noi, protagonisti di queste violenze. Ho la sensazione che ci sia l’ennesima disparità di genere, anche su questo argomento: ogni volta che una violenza diventa di dominio pubblico, sono le donne a discutere e a sensibilizzare sull’accaduto, non gli uomini, i quali si limitano a un asettico io non lo farei mai. Eppure, gli interrogativi da porsi sarebbero tanti: perché succede tutto questo? Quali sono i comportamenti interiorizzati che portano poi all’atto estremo di Palermo? Abbiamo provato a parlarne con alcuni uomini.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Modern Cinderellas (@modern_cinderellas_ita)

Luca, 35 anni, è inorridito dalle notizie di Palermo e Caivano: a sconvolgerlo sono soprattutto reazioni e commenti sui social. 

È tutto surreale: dover sottolineare ancora che sono comportamenti disumani, che una madre abbia difeso il proprio figlio e colpevolizzato la vittima, ma soprattutto che siano le nuove generazioni a portare avanti certi schemi. Ho la sensazione che dagli uomini sia percepito come un argomento complesso, che non ne parlino: molti attorno a me condannerebbero l’atto e non si riconoscerebbero in quel sistema culturale (e ciò non basterebbe); altri, ahimè, sarebbero pronti ad accusare la vittima. Non mi pongo interrogativi come uomo ma in quanto essere umano: quanta strada c’è ancora da fare? Con quanta poca serietà si affronta il problema?

Secondo te è legato al contesto economico-sociale in cui un uomo cresce?

In parte è un alibi: comportamenti sessisti e violenze ci sono nel peggior quartiere d’Italia tanto quanto nei salotti bene. Penso sia un problema che nasce all’interno di tutte le famiglie: un ragazzo cresce in un ambiente machista dove bisogna gonfiare sempre il petto; che gli insegna magari a prevalere sulla donna a livello economico, ad avere il controllo di tutto. Aggiungiamo che nessun uomo attorno a lui dica “questa è una stronzata”: se ti senti in diritto di limitare la libertà di una persona, cosa ti divide dal compiere un atto del genere? È una linea sottile, spesso sottovalutata.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da ivan romano (@ivanromano.photo)

Per Luigi, 57 anni, uno dei problemi alla radice della violenza risiede nella rappresentazione del sesso. 

Da parte degli uomini c’è una visione puramente meccanica del sesso: devo farlo, che tu (donna) lo voglia o no. È qualcosa di raccapricciante, secondo me alimentato da un accesso alla pornografia senza controllo. Non la sto demonizzando, ma credo che le nuove generazioni, e non solo, abbiamo una visione distorta del sesso, confuso con sottomissione e predominio dell’uomo sulla donna: una normalizzazione di questi atti che deresponsabilizza chi li compie. Quello che manca è l’educazione al rispetto dell’altro, all’affettività prima che alla sessualità.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Fab! (@thatsfabofficial)

La violenza è la punta dell’iceberg, quella che fa più rumore mediatico, massimo fallimento di una società maschilista. Hai la percezione di vivere in questo tipo di società?

Ovviamente, a livello globale viviamo in una società maschilista. Ti faccio un esempio: nel mio settore lavorativo, soprattutto in Italia, ho notato che c’è una difficoltà a dialogare con un’ingegnera o una rivenditrice commerciale. Tra colleghi non ho sentito dire è in gamba? ma com’è?; spesso si usa il tu con le professioniste, per non parlare del divario salariale. Vedo un nesso tra questi comportamenti e le violenze; alla base c’è sempre l’assenza di educazione alla parità, al rispetto.

Mi accorgo anche di aver interiorizzato alcune meccaniche maschiliste: in un ristorante, mi sono sentito in imbarazzo perché, per un malfunzionamento della carta, ha pagato la mia compagna. Una reazione se vuoi banale per un piccolo fatto, ma che ha suscitato dei perché.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Factanza (@factanza)

Se lo scenario è questo, come si inverte la tendenza?

Stefano, 25 anni, mette al primo posto l’educazione dei suoi coetanei e la tutela della vittima.

Bisogna dare maggiore supporto, legale e psicologico, a chi ha subito una violenza, e smetterla una volta per tutte con la colpevolizzazione. Purtroppo, penso che la generazione dei miei genitori sia irrecuperabile: troppo convinti di essere nel giusto e troppo presuntuosi per capire che non è mai tardi per imparare. È inutile che ci autoflagelliamo e ci nascondiamo dietro a un non siamo tutti così: mettiamoci in discussione, quotidianamente; impariamo a riconoscere i comportamenti sessisti e a scardinarli. E soprattutto non giriamoci dall’altra parte di fronte a questi fatti, smettiamola di credere che siano tematiche di esclusiva prerogativa delle donne. Tranquilli: non siamo meno virili se siamo femministi.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios