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Vietato spegnere la radio: intervista a Davide Vercelli

Il designer e collezionista in esposizione a Milano fino alla fine di settembre

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Davide Vercelli è un collezionista o, come si direbbe in epoca social, un geek. Lo si vede dallo sguardo entusiasta quando si apre la video call per questa intervista.

Si connette puntualissimo come un segnale orario il designer di origini piemontesi, appassionato di suono e radiofonia, che sarà prossimamente protagonista con ADI Design Museum di quello che definisce “un punto di arrivo”.

Che vuol dire collezionare?

Per me significa contornarsi di diverse tipologie di uno specifico oggetto che possano raccontare storie e trasmettere emozioni. E io colleziono radio.

Partiamo dalla radio. Si dice che non morirà mai.

Vero! La radio ha avuto la capacità di evolversi e abbracciare nuovi linguaggi, a differenza di altri mezzi. Pensiamo principalmente alle tante web radio che sono nate negli ultimi anni, ce ne sono di interessanti. Sono realtà che possiedono un’elasticità mentale che a oggi, per esempio, la televisione non ha.

 
 
 
 
 
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La radio è sempre stata giovane.

Sì. Ci sono stati tanti ragazzi coraggiosi, negli anni ’80 che fondarono la propria radio libera. Io sono stato uno di questi, avevo 14 anni e mi sono divertito tantissimo. Si potrebbero fare diversi esempi ancora oggi di grandi successi.

Cosa facevate?

Coinvolgevamo gli abitanti del mio paese in una serie di quiz. Per indovinare e darci la risposta correvano da noi fisicamente. Mica esistevano i telefonini. Questa è esattamente l’immediatezza della radio che oggi troviamo anche nelle leader di settore.

Una particolare luce pervade gli occhi di Davide Vercelli mentre racconta. C’era una canzone dei The Buggles si intitolava "Video Killed the Radio Star". Non accadrà assolutamente mai. Ride.



La radio soddisfa le esigenze dei più giovani?

Direi di sì, sopratutto le web o tanti format che si sono trasformati in podcast. Mio figlio è un grande ascoltatore, soprattutto di buona musica. Potrebbe aver ereditato il mio gusto!

E le nazionali in FM?

Credo che anche molte grandi radio coinvolgano i giovani, però, forse, il gancio che poi li porta all’ascolto è digitale. I ragazzi vanno a scuola: ci sono diverse ore in cui è impossibile per loro accendere e seguire i programmi.

La tua radio italiana preferita oggi?

Radio Capital. Ascolto il programma della mattina, quello delle 13:00 di Mixo e De Gennaro, hanno una programmazione molto libera e la musica che trasmettono è difficile trovarla in altre radio. Poi mi ricollego per le 18:00, verso la fine della giornata.

 
 
 
 
 
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Radio e design: è amore?

Io sono un designer e collezionista. Come ogni collezionista mi ritengo una persona disturbata. Walter Benjamin paragonava il collezionismo al supplizio di Sisifo. L’oggetto della collezione, per chi lo possiede, travalica qualsiasi significato, non è più merce, è un’idea.

Come si possono aiutare a vicenda i due mondi?

Il gap principale che vedo riguarda la produzione: in Europa non si producono più apparecchi radiofonici. Forse si potrebbe pensare di utilizzare un progetto realizzato in Europa e produrlo in un altro paese, un pò alla Cupertino.

Quando hai cominciato a collezionare radio?

Ben 30 anni fa.

Come mai?

Ho sempre smontato tutto. Mio padre era disperato perché lo facevo con ogni oggetto della casa. A oggi non ho perso il vizio e continuo a farlo.

Perché?

Perché il mio approccio all’oggetto è relativo all’idea che porto riguardo la sua costruzione, non tanto la sua materia. Sento di entrare in intima connessione con i designer che hanno realizzato ogni pezzo quando scopro come è fatto al suo interno. Mi sembra di percepire il motivo di qualsiasi decisione abbia finalizzato quel progetto.

Ma perché proprio la radio come oggetto culto?

Mi interessa tutto quello che riproduce suono, ma prima di tutto amo la radio perché è connessa alla musica. Nonostante sia un oggetto che funziona in maniera estremamente razionale, ogni volta che ne accendo una e quella scala si illumina, l’energia che provo travalica qualsiasi razionalità.

In che senso?

È magico sapere che una canzone o una voce proveniente da chilometri e chilometri di distanza possa sentirsi direttamente in casa mia e in casa di qualsiasi ascoltatore.

 
 
 
 
 
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E l’idea della mostra in ADI?

L’ho progettata prima della pandemia e ho dovuto attendere. Per me è un punto d’arrivo. Per quanto possa fare ricerca nei mercatini e sulla rete ormai possiedo in collezione i pezzi più importanti. Sono musica da vedere.

Non c’è una radio che vorresti tantissimo e che ancora non hai?

Ce n’è una, si chiama Apollo ed è prodotta dalla Electrohome, è bellissima. Ce ne sono diverse in Canada e USA, ma mi costerebbero una follia. Inoltre mi piace l’idea di avere ancora un piccolo sogno da conquistare.

E quella più faticosa che hai reperito e che si troverà nella mostra in ADI?

C’è un pezzo della Philips, si chiama Rosita Vision. È costato a me e mia moglie un viaggio in Germania, in una cascina. Non sapevo nemmeno se avrei trovato veramente l’uomo che poi me l’ha venduta, a cui avevo anche dato un acconto!

Una follia.

Sì e pensa che ho dovuto anche restaurarla ricostruendo la sfera superiore. Ne ho realizzate più di una per gli altri matti che come me avevano la stessa esigenza.

Dove le tieni tutte queste radio?

Da poco ho acquistato un capannone in cui le custodisco.

E casa tua è piena di radio, immagino.

In realtà di impianti stereo. Li faccio ruotare. I miei preferiti sono quelli di Bang & Olufsen.

Tre motivi per cui bisognerebbe venire a visitare la mostra in ADI.

Il motivo principale è che raccontiamo storie che abbracciano davvero qualsiasi sfumatura sociale: politica, cultura, storia. Raccontiamo storie di aziende, governi e uomini.

L’ingresso alla mostra è gratuita, per cui non c’è davvero scampo.



La mostra “Radio Design: l’evoluzione estetica degli apparecchi radiofonici” si terrà dal 5/09 al 27/09 presso ADI Design Museum in Piazza Compasso d’Oro, 1 a Milano.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios