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Samira, il silenzio che fa indignare le donne

E nemmeno un sussurro dalla Farnesina

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La cosa che fa più rumore è il silenzio delle autorità. Nessuna presa di posizione, nessun atto, nessuna parola. Per i vertici dello sport mondiale, per il comitato organizzatore di Cortina 2021, per il nostro governo la vicenda di cui è stata protagonista Samira Zargari, allenatrice della nazionale iraniana di sci, non merita menzione.

Eppure quello che è successo è abnorme e dovrebbe smuovere le coscienze del mondo occidentale.

Samira Zargari, ex campionessa della neve divenuta coach della nazionale femminile dell’Iran, non ha potuto guidare la squadra ai mondiali di Cortina perché il marito, avvalendosi di una norma del codice iraniano, le ha impedito di espatriare.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Acrimònia Magazine (@acrimoniamagazine)

Sembra incredibile che nel 2021 possano accadere cose di questo genere che invece sono purtroppo all’ordine del giorno nel mondo mediorientale. La legge iraniana prevede infatti che alla donna venga rilasciato il passaporto solo se c’è la firma del marito e che il marito mantenga comunque il diritto di negare l’espatrio alla compagna a suo insindacabile giudizio.

A informare il mondo della decisione presa dal consorte di Samira, nato negli Stati Uniti, origini turche, cittadino iraniano da poco più di un lustro, è stata la Federazione sci dell’Iran: “Fino all’ultimo - hanno informato i dirigenti in una nota - abbiamo cercato di trovare una soluzione, ma non è stato possibile”.

E così Samira è rimasta a casa a compiacere il marito e il compito di accompagnare la squadra a Cortina è stato affidato a Marjan Kalhor, altra tecnica della federazione. La quale, inseguita da un paio di giornalisti sulle funivie bellunesi, si è rifugiata in un laconico “I don’t know”. Lo stesso “I don’t know” pronunciato da altri componenti la delegazione iraniana cui è stato chiesto di commentare la vicenda.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da مرجان کلهر (@marjan.kalhor)

L’unica che ha avuto il coraggio di rompere il muro del silenzio è stata Abbasi Forough, 27 anni, atleta della nazionale iraniana che al termine della prima manche del gigante femminile poi vinto da Lara Gut-Behrami, dopo aver fatto registrare un distacco di quasi 24 secondi da Mikaela Shiffrin, leader della frazione iniziale, non si è nascosta dietro parole di circostanza: Non è la prima volta che succede una cosa del genere - ha dichiarato -. Ma vorrei che le donne in Iran, tutte assieme, potessero cambiare tutto questo. Ci stiamo provando. Sono sicura che le donne forti possono fare cadere queste regole che aiutano gli uomini e sono sicura che Samira uscirà da questa vicenda più forte di prima. Siamo orgogliosi di lei, davvero”.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da فروغ عباسی ( تیم ملی اسکی ) (@foroughabbasi1)

Una dichiarazione di intenti che suscita ammirazione in questa ragazza portatrice sana di coraggio. Il coraggio di denunciare un’ingiustizia inconciliabile con i valori su cui si fonda il mondo occidentale: quello che ci si sarebbe aspettati dalle autorità che invece hanno preferito svicolare e nascondersi dietro il muro del silenzio.

Un silenzio che non fa onore a nessuno, né al Cio, né al Coni, né alla Fondazione Cortina 2021, né al governo italiano, sul cui territorio si sono disputati i mondiali di sci.

Un governo che, almeno nelle intenzioni espresse dal presidente Draghi nel discorso tenuto al Senato in occasione del primo voto di fiducia, ha posto in modo forte il problema della discriminazione di genere.

“La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne - ha detto il neo presidente del Consiglio -.

Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne.

L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo.

Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. (…)

Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo”.

Un discorso di alto e nobile profilo che, di fronte a ciò che è successo a Cortina, avrebbe potuto suggerire ai nostri diplomatici, una presa di posizione. Invece dalla Farnesina non si è levato nemmeno un piccolo sussurro. E questo non è bello.