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Matrimonio tra social e street art: intervista a Greg Goya

Si può parlare dei social come mezzo di espressione artistica? Abbiamo intervistato Greg Goya, street artist torinese, creatore della fast art

Di

Ciao Greg, come stai?

Ciao! Bene, anche se è un periodo frenetico e stancante: fare street art con le temperature di questi giorni è molto difficile!

Partirei dal nome d’arte, Greg Goya: legame con il pittore spagnolo oppure semplice assonanza?

Dovrei inventarmi una storia sconvolgente dietro a questa scelta! Goya sicuramente è stato un pittore straordinario, ma non rientra nella mia personale top 5 di artisti: volevo raccontare me stesso ma in anonimato; mi serviva un nome di copertura. Volevo che ci si concentrasse su ciò che facevo e non sul mio nome (non che sia figlio di persone famose). Poi mi ricorda anche di tenere alta l’asticella, lo dico senza superbia: serve per ricordarmi di fare sempre bene e in grande ciò che faccio.

 
 
 
 
 
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E invece chi è Greg oltre Greg Goya?

È un torinese di ventiquattro anni al quarto anno di Giurisprudenza che, da circa tre anni e mezzo, ha iniziato a fare arte per strada.

Sbaglio o hai iniziato con le custom sneakers? 

Sì esatto, anche se mi piace parlare più di sneakers art.

Quale è la differenza?

Tutto sta nell’approccio: non lavoravo su commissione, quindi il significato di custom, letteralmente cliente, cade. Ho cercato di fare un'arte il più possibile coinvolgente, dove contasse più il significato della grafica che andavo a disegnare e non l’estetica dell’oggetto finale.

Un approccio che già da alcuni progetti (mi viene in mente la scarpa Eidon) emergeva: qualcosa in più oltre l’oggetto d’arte, una vera e propria performance.

Assolutamente! Il modello di lavoro applicato nel settore moda è lo stesso di oggi che faccio street.

 
 
 
 
 
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Quando il passaggio dal mondo delle sneakers a quello della street art? Quali sono state le esigenze che ti hanno spinto a questa trasformazione?

Fin dall’inizio volevo fare street. Era il 2022, da quattro anni lavoravo nel fashion, anche con collaborazioni importanti. Tornavo da un evento Armani Exchange, un ambiente e un’attività molto stancanti, anche se è difficile da credere; ricordo di aver pensato Mi sono rotto le palle: ora butto via tutto e faccio street usando i social”.

Un cambiamento mica da poco! Immagino non sia stato facile prendere questa decisione…

In realtà è stata talmente di pancia, che subito non ho pensato alle possibili conseguenze. È stato un cambiamento molto importante, a livello personale e soprattutto lavorativo; per dirla molto schietta: prima mangiavo con quello che facevo. Anche sui social non è stato facile: l’algoritmo e il pubblico sono a loro modo conservatori, non sono molto favorevoli ai grandi stravolgimenti.

 
 
 
 
 
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Ti ricordi la prima installazione?

Si intitola Kiss stop, concepita per TikTok, il social più rapido. Disegnai un cuore ai Murazzi, zona urban nel cuore di Torino, con una scritta all’interno: kiss here. Guardai e filmai i baci, pubblicai tutto: un milione di views in pochissimo tempo. È stato bello dal vivo, è stato bello online: un’opera tecnicamente facile ma fortemente d’impatto. Mi ha dato una determinazione incredibile per continuare.

Quante performance di fast art fai a settimana?

Almeno due: visto che i social sono parte fondamentale delle mie performance, devo stare ai loro ritmi.

È una cosa che patisci o che ti sprona?

Entrambe. In ciò che faccio ci sono molte variabili che possono influire sulla realizzazione di un’installazione: clima, flusso di passanti, reazioni all’opera… I ritmi sono altissimi ma io mi diverto un sacco!

@greggoya tag who you want to kiss #streetart ♬ Another Love (slowed reverb) - Lrozen

Quali sono i temi che ti piace più trattare? Da torinese che si imbatte nelle tue installazioni, direi più “quali sono i sentimenti”.

Faccio molta arte romantica: parlare d’amore è universale. Riprendo molto la Tumblr-core: è a tutti gli effetti una corrente artistica nata sui social, un intero apparato estetico che non ha pari. Se chiedi ai ragazzi della nostra età, tutti sanno associare all’estetica Tumblr precise canzoni, un preciso stile fotografico, persino uno stile di scrittura.

Ho rispetto della street art e prima di fare critica socio-politica, devo ancora maturare artisticamente: sensibilizzare su un tema, farlo bene, non è facile. Siamo tutti un po’ troppo suscettibili.

Non dirmi che hai degli haters!

Non mancano, assolutamente! Anche se uso vernice lavabile e le mie opere svaniscono con la pioggia, vengo accusato di sporcare la città. Ormai mi sono fatto le ossa.

Ciò che fai è a metà tra oggetto d’arte e reazione a quell’oggetto: quanto c’è di questi due elementi in ogni tua performance?

Sono due elementi indissolubili: la performance è pensata offline per i social, diventa installazione offline, per poi ritornare in rete. In qualche modo sopravvive al tempo: la sezione commenti dei miei post mantiene viva quell’opera. È una componente così importante, che in un’installazione allo Street Art Museum di Narni, al suo fianco, era stato messo un panel con la sezione commenti in tempo reale.

 
 
 
 
 
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C’è una reazione a una tua opera, dal vivo, che ricordi in maniera particolare?

Alla Reggia di Venaria avevo installato una panchina bianca con scritto “potendo scegliere, chi vorresti che si sedesse qui con te?”: chi passava di lì poteva scrivere la risposta. C’era un silenzio meraviglioso, la gente pian piano ha iniziato a scrivere; poi si è avvicinato un signore sull’ottantina, accompagnato dalla figlia. Scrivi il nome della mamma dice la figlia, e il padre mentre lo fa, scoppia a piangere: non gliene fregava nulla di me, probabilmente manco sapeva cosa fossero i social; erano solo lui e l’opera d’arte in quel momento.

E la reazione più divertente?

Avevo installato un’emergency box con dentro una bottiglia di vino; sul vetro la scritta in case of broken heart, break the glass. Di solito questo tipo di opere dura quaranta minuti, poi alcuni fan si fregano tutto; quella volta ricevo un video selfie di un ragazzo: “Bro non odio la tua arte, ma la mia tipa mi ha mollato e lì c’era scritto che dovevo rompere il vetro e l’ho fatto!”.

 
 
 
 
 
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Un’ultima domanda, presa da una tua installazione, Take a message from your future”: quale messaggio vorrebbe pescare Greg Goya?

Sono troppo giovane per gli aforismi! Me ne vengono in mente due. A livello lavorativo, mi piacerebbe parlare col Greg Goya del futuro, affermato in un settore ostico e pettinato, grazie alla forza della propria community.

E il secondo?

Riguarda sicuramente ciò che faccio, ma sotto una luce più personale. Tendenzialmente gli artisti hanno due obiettivi: conquistare il mondo e cambiarlo; fare arte per sé stessi non ha senso, è masturbazione. Vorrei mantenere l’immediatezza di ciò che faccio, vedere la gente che, con la mia fast art, migliora un po’ la propria vita.

 

 

Foto Greg Goya