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La TV spazzatura

Prima di parlare di qualità si consideri che i “parametri di qualità”, secondo Confindustria, utilizzati per valutare una qualsiasi azienda non riguardano “l’eccellenza del prodotto”, bensì si basano su valutazioni di efficienza aziendale, come ad esempio: costi e ricavi, gestione del personale, penetrazione nel territorio e così via. Tutto un altro film, rispetto alla bontà di un prosciutto o alle prestazioni di un telefonino

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Tanto per rimanere al cinema e capire quanto sia larga la forbice per intendere uno spettacolo di spazzatura, basti ricordare che la maggior parte dei film di Totò venivano considerati film di serie B, quando questi era in vita. Da morto c’è stata la riscoperta non tanto di capolavori ma di uno dei più grandi comici mondiali di tutti i tempi.

In Italia la cosiddetta Tv spazzatura fa il suo ingresso a metà degli anni 80 con il programma “A bocca aperta”, di Gianfranco Funari, prima su TeleMonteCarlo poi su Rai Due. Buon successo di pubblico e pessime critiche da parte di chi non sopportava la popolarizzazione della politica in bocca alla “ggente”, quasi fosse un reato di lesa maestà. Ma il programma fu solo l’inizio di quello che sarà il trionfale percorso di uno dei più influenti tribuni televisivi, capace di muovere centinaia di milioni di fatturato pubblicitario.

Tutto quello che non piace ai palati fini della critica televisiva viene derubricato come trash spesso trattando di televisione, che è cosa assai complessa sia nel farla che nell’intenderla, come se fosse cinema che nello specifico ha una sua complessità del tutto diversa, a cominciare dalla fruizione del pubblico.

Per i dotti professori di comunicazione, che non hanno mai girato un metro di pellicola in vita loro, la TV trash è un prodotto di bassa qualità e grottesco dovuta alla mediocrità di chi l’esercita. Niente di più sbagliato.

Prendiamo due esempi facilmente riconoscibili per tutti: “Ciao Darwin”, di Paolo Bonolis e “Pomeriggio cinque”, di Barbara D’Urso. Il programma di Bonolis, persona assai colta, dedita a letture impegnate e capace di tradurre latino e greco, è del genere spettacolo e in quanto tale di costo alto; in più è un programma dove accadono delle cose complesse che esaltano lo spettacolo e che richiede una regia all’altezza della situazione. Per il comune senso del pudore possono esserci delle volgarità, a volte del grottesco anche divertente, di certo non mediocrità o bassa qualità. Ricordate: costi e ricavi, penetrazione nel territorio.

 
 
 
 
 
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Barbara D’Urso si allinea alla maggior parte dell’offerta televisiva di oggi: il Talk show; prodotto poco costoso e dai ricavi alti quando viene premiato dal pubblico a casa. In generale è un’offerta televisivamente mediocre, dal momento che è una televisione seduta, parlata, a volte urlata, dove non accade nulla di movimentato. Se poi, come nel caso della D’Urso, il programma tende all’infotainment cioè un misto di giornalismo e spettacolo, allora serve una squadra di autori capaci di inventare questioni intime e saper dosarle o per ridicolizzarle o per esaltare il dolore, per commuovere il pubblico a casa. Poi ci penseranno i social a fare da grancassa. In pratica si usa la strategia pubblicitaria della mercificazione dei sentimenti. Si può criticare l’offerta giornalistica non certo la mole di lavoro che sta a monte, tutto tranne che sciatto.

 
 
 
 
 
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Dalla D’Urso al “Grande Fratello” è un attimo, dal momento che il programma viene giornalmente cannibalizzato dalla conduttrice nel suo programma pomeridiano. Oggi viene considerato, dai professori puristi della televisione, come il programma trash per eccellenza ma anche qui bisogna fare un distinguo.

 
 
 
 
 
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Il format olandese prende spunto dalla trama di “Big Brother”, di George Orwell e la prima edizione italiana, 2000, viene presentata come un grande esperimento antropologico e sociologico. Tale dignità culturale è data dalla conduzione di una delle beniamine della “rive gauche” italiana, Daria Bignardi, coadiuvata in esterna da un giovane e brillante Marco Liorni. La prima edizione serve al Team di autori per osservare e studiare le reali dinamiche dei dieci ragazzi “della casa”.

Dalla seconda edizione in poi tutte le dinamiche saranno studiate a tavolino preventivamente, a cominciare dalla scelta del cast utile a interpretare una parte già scritta.

Ai dotti professori della televisione, che non saprebbero piazzare una lampada per il controluce, non piace che nella TV spazzatura domini il cattivo gusto fatto di urla, oscenità, violenza verbale e magari qualche sganassone e che il tutto generi una spirale che ipnotizza milioni di spettatori. Ebbene queste menti celestiali ancora non hanno capito, in tanti anni, che è tutta pura fiction paragonabile al filone Horror al cinema, dove morti squarciati da zombie, urla, violenza e quant’altro sono la linfa vitale che tiene inchiodati gli spettatori alle poltroncine in sala.

Perché questi professori non si indignano nei confronti di un’informazione declinata solo in opinioni quasi sempre autoreferenziali e dove i fatti restano del tutto marginali?

Perché non si indignano su gli spot pubblicitari di tante false Onlus che mercificano dolore e malattie chiedendo denaro al pubblico o ancora, sempre a proposito di truffe e di volgarità, perchè non insorgono quando vengono riportate alla ribalta mediatica due delinquenti già condannate come Wanna Marchi e la figlia, della quale per fortuna ci sfugge il nome?

Ah saperlo!  

 
 
 
 
 
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Concludendo: per i professionisti della televisione non può esistere il concetto “Mi piace, non mi piace”, loro devono rispondere al diktat “Funziona o non funziona”, ovvero la sola regola che può garantire il fatturato pubblicitario. 

Per il pubblico a casa, invece: “Ogni lustro ha il suo gusto”, così come si dice nell’evoluzione dei sapori alimentari fin dall’infanzia. Perchè alla fine è di questo che si tratta: una semplice questione di gusto, del tutto soggettivo; ma fino a quando i numeri premieranno questo o quel programma, chi storce il naso puntando il ditino avrà sempre torto. 

Piaccia o non piaccia!