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Intervista ad Archeoplastica: una storia di reperti, rifiuti e racconti

Un progetto per riflettere su quanto l’inquinamento dei mari sia un problema da affrontare seriamente e in fretta

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Il Mediterraneo è sempre più ostaggio di plastiche e microplastiche: la presa di coscienza del problema è aumentata, soprattutto nelle nuove generazioni; pochi o insufficienti le misure politiche in materia. Al silenzio delle istituzioni, risponde invece il mondo del volontariato e dell’attivismo: il progetto Archeoplastica è una di queste realtà. Ne abbiamo parlato con Enzo Suma, fondatore del progetto.

Ciao Enzo, raccontaci come è nato il progetto Archeoplastica.

Come il nome potrebbe suggerire, non sono un archeologo, ho una formazione naturalistica. Dopo l’università, sono tornato in Puglia e ho iniziato a lavorare come guida naturalistica nelle aree protette della mia regione. Mi sono sempre occupato di pulizia delle spiagge ma a un certo punto ho iniziato a farlo con più consapevolezza, osservando ciò che raccoglievo.

 
 
 
 
 
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Però, proprio come un archeologo, cerchi le storie dietro ai reperti che trovi!

Sì, tutto è partito nuovamente dal mare. Era il 2018 e ho trovato il primo reperto: un abbronzante spray prezzato in lire. Era degli anni Sessanta! Mi sono incuriosito e ho cercato di ricostruirne la storia. Ho pensato: “sono spesso in spiaggia, se trovo tanti reperti potrei creare un progetto espositivo interessante”. Così nel 2021 è nato ufficialmente Archeoplastica.

Ti senti allora più uno storico della plastica o un attivista ambientale?

L’aspetto dell’attivismo c’è ma Archeoplastica è qualcosa di diverso. Forse prevale il lato storico: mi applico con metodo nella ricostruzione della storia dei reperti. Il piglio è quasi giornalistico, come in un documentario: racconto cosa è stato un oggetto e cosa è, purtroppo, oggi. Il messaggio ambientalista è implicito.

 
 
 
 
 
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Ad oggi è l’unico progetto del genere o esistono delle filiali al di fuori dell’Italia?

Sicuramente in Italia è unico come progetto e lo replichiamo noi stessi sia come raccolte che come mostre itineranti. All'estero, se non sbaglio in Olanda, c'è stata dopo Archeoplastica una piccola esperienza che ricorda vagamente il nostro progetto. Dal punto di vista dell’inquinamento marino, la penisola italiana è sfortunata e ahimè unica: le correnti del Mediterraneo colpiscono le nostre coste, quelle pugliesi soprattutto. Fino a qualche anno fa alcune regioni costiere del nord erano quasi immuni, dopo le numerose mareggiate purtroppo no. 

E lo porti avanti da solo o sono coinvolte altre persone?

Io mi occupo prevalentemente della comunicazione e aiuto nella realizzazione dei modelli 3D dei reperti, visibili sul sito. Riguardo invece la rete di raccoglitori, è partita  dalla Puglia ma oggi è diffusa su tutto il territorio italiano. Molto importanti per questo aspetto sono stati i social.

Allora neanche ti chiedo quanto sia importante la community per Archeoplastica…

Fondamentale! Di alcuni reperti che troviamo non sappiamo nulla: ci aiutano le persone sui social a risolvere i misteri dietro questi strani oggetti.

 
 
 
 
 
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Archeoplastica si limita all’Italia o sta diventando un fenomeno internazionale?

È arrivata anche in altri paesi europei grazie agli italiani all’estero. C’è un bello scambio di idee, di cose che funzionano fuori dall’Italia e che potremmo replicare qui.

Tipo?

Il DRS, il sistema di deposito cauzionale dei contenitori di bibite. Il consumatore, tedesco per esempio, sa che, quando acquista una bottiglia di plastica, immediatamente la paga di più, ma può avere un cashback di venti centesimi nel momento in cui la ricicla negli appositi punti di raccolta. Un bel incentivo per un’economia circolare e attenta alla riduzione dei consumi di plastiche.

 
 
 
 
 
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Parliamo di reperti: dici di averne oltre 500, ma dove li tieni?!

In realtà non è aggiornato: a oggi sono quasi 1000! Non tutti li portiamo nelle esposizioni, molti li usiamo solo all'interno dei contenuti video. C’è un magazzino che stiamo valutando di rendere visitabile.

Ce n’è qualcuno che ricordi particolarmente?

Sicuramente il pallone dei Mondiali Italia 90: il mondiale più bello, di quando ero bambino, quello con Schillaci e Baggio. Non ho mai avuto quel pallone, ritrovarlo è stato come rievocare quella storia sportiva.

E poi coppette e stecchi dei gelati che mangiavo da piccolo, negli anni Ottanta.

 
 
 
 
 
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E invece quello geograficamente più lontano che hai trovato?

Troviamo flaconi prodotti in Cina, ma che ovviamente non arrivano direttamente da lì. Gli oggetti che viaggiano di più sono le radiosonde metereologiche: sono palloni aerostatici, collegati a dei sensori; vengono usate dal servizio meteorologico nazionale. Ne vengono lanciate centinaia al giorno! Dopo che il pallone esplode, circa a 30 km da terra, la sonda funziona ancora ed è possibile sapere, grazie a un sito, dove è ammarata. Io personalmente ne ho trovata una caduta a largo della Turchia, che sicuramente non ha fatto un percorso lineare per arrivare in Salento.

 
 
 
 
 
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Archeoplastica rimarrà un format marino o pensi che si possa spostare anche sulla terra, nelle grandi città? Si potrebbe ricostruire la storia dei consumi di una metropoli attraverso i suoi rifiuti!

Sai che ogni tanto organizziamo delle mostre con le associazioni delle città? Spuntano dei reperti particolari, legati al territorio, durante le ricerche fluviali. Però credo che Archeoplastica continuerà a ruotare prevalentemente attorno al mare.

Un’ultima domanda: pensi che il cambiamento possa venire solo dal basso o ci debba essere anche un cambio di registro dall’alto?

Uno non esclude l’altro, tutti però dobbiamo viaggiare verso l’eliminazione progressiva della plastica monouso. Tanti singoli possono fare pressioni sui governi affinché le norme in materia ambientale vengano applicate anche in Italia. Non demonizzo la plastica, semmai quella usa e getta: Archeoplastica mira a far aprire gli occhi su un problema irrimandabile.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios