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Gabriel Attal, il millennial prodige alla guida della Francia

A 34 anni, Gabriel Attal è il nuovo primo ministro francese: quando si smette di essere troppo giovani per ricoprire un ruolo di responsabilità in politica?

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L’età è solo un numero; d’oltralpe, ne giunge in questi giorni l’eco: “ce n'est qu'un nombre, l’âge". Lo sa bene Emmanuel Macron che nel 2017 è diventato, a soli 39 anni, il più giovane Presidente della Repubblica francese. Per chi considera la carta d’identità solo come un pezzo di carta, non è stato allora difficile nominare Primo Ministro francese il 34enne Gabriel Attal. Un cambio notevole rispetto alla precedente inquilina dell’Hôtel de Matignon, Élisabeth Borne, 62 anni, in vista delle prossime scottanti elezioni europee.

 
 
 
 
 
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Classe 1989, Gabriel Attal cresce e si forma nella capitale francese: prima una laurea in scienze politiche, poi una in giurisprudenza, gli garantiscono il pedigree ideale per il mondo della politica francese. Mondo nel quale rapidamente muove passi importanti: nel 2012, a 23 anni, è consulente responsabile delle relazioni con il Parlamento all'interno del ministero della salute; nel 2017 deputato dell’Assemblea nazionale, eletto tra le file di LaREM (La République En Marche!, il partito di Macron). A 31 anni, nel 2020, diventa portavoce del governo, prima di entrare direttamente nell’esecutivo: Ministro dei Conti Pubblici prima, dell'Educazione Nazionale a luglio scorso. Delfino di Macron, under 40, liberal socialista, dichiaratamente omosessuale: Gabriel Attal incarna l’incubo del governo Made in Italy e dei suoi alleati in giro per l’Europa.

 
 
 
 
 
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Attal ha difeso la laicità delle scuole proibendo l’abaya, il lungo vestito indossato dalle donne nel mondo arabo (l’hijab è vietato già dal 2004, assieme a croci cristiane e kippah ebraiche) e promosso una riforma delle scuole medie, che divide gli alunni in classi a seconda del livello di apprendimento, al fine di migliorare la qualità della scuola francese. Operato opinabile, come quello delle prime ore da Primo Ministro: la scelta dei Ministri ha registrato una virata verso destra e una diminuzione di donne ai vertici. Dulcis in fundo per i rotocalchi, la nomina agli Esteri dell’ex compagno Stéphane Séjourné. Il dato è però un altro: un millennial è alla guida di uno dei paesi più influenti dell’Unione europea; quanti altri glielo avrebbero concesso?

 
 
 
 
 
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Non è una questione di destra e sinistra: l’elettorato della prima, anagraficamente più grande, tende a votare candidati vintage, meglio se usati garantiti; quelli della seconda sventolano la bandiera sul cambio generazionale, nel frattempo rispolverano i soliti nomi. Dando uno sguardo alla politica europea, sembra che viga l’ideale evergreen, per cui i 50 sono i nuovi 30. Il neo esecutivo spagnolo di Pedro Sánchez registra tra i suoi Ministri una media anagrafica di 52,7 anni; i membri del Bundestag, il parlamento tedesco, rimangono sui 47,5 anni; 51 per la Camera dei Comuni britannica. A Bruxelles non va meglio: l’età media degli europarlamentari è di 49,5 anni; solo 11 gli under30. Oltreoceano la situazione è quella di una vera e propria gerontocrazia: Sleepy Joe Biden a novembre ha spento 81 candeline; i rami (secchi) del Congresso hanno in media 58 anni (Camera) e 65,3 (Senato).

 
 
 
 
 
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E in Italia?

Pare, dando uno sguardo alle istituzioni italiane, che i nati dopo gli anni Settanta non siano in grado di ricoprire ruoli dirigenziali.

Parlamento: l’età media, considerando solo la Camera (per essere eletti al Senato bisogna avere almeno 40 anni, ndr), si attesta a 51 anni: su 630 deputati, 4 gli under30 (tutte donne: due M5S, una Pd, una FdI); 133 gli under40. 

  • Esecutivo: a palazzo Chigi la situazione non migliora. L’età media dei ministri del governo Meloni, la più giovane del suo esecutivo, schizza a 60 anni. Prima donna a guidare un governo, non la più giovane: è di Matteo Renzi il primato, nominato premier a 39 anni nel 2014.
  • Presidenti delle regioni: da nord a sud la situazione è omogenea, con una media di 58,5 anni.

Davanti a questi numeri, non stupisce che la commissione sull’AI sia stata presieduta da Giuliano Amato, un giovincello della politica classe 1938.

 
 
 
 
 
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Quanto un giovane europeo può sentirsi rappresentato da questa classe dirigente? Quella che gli dice di fare più figli, di investire in una casa, di spendere; distante, per volontà o anagrafe, dalle difficoltà che incontra ogni giorno. “I giovani non si interessano di politica”: dovrebbero se a parlare con loro sono cinquantenni travestiti da tiktoker che intasano i social con slogan retorici acchiappa-like e challenge? “I giovani non si mettono in gioco”: gli è permesso prendere spazio? Visti i risultati, età degli eletti alla mano, non si direbbe. “Ma serve esperienza!”: come accrescerla se non viene data loro un po’ di fiducia e, perché no, la possibilità di sbagliare?


L’elezione di Gabriel Attal, indipendentemente dal colore politico, è la prova che un’alternativa esiste. Una scelta sincera, si spera: utilizzarlo per rialzare gli indici di gradimento dell’inquilino dell’Eliseo, in vista delle europee di quest’anno, farebbe registrare l’ennesima sconfitta della politica europea.

“Les jeux sont faits, rien ne va plus”.

 

 

Illustrazione Gloria Dozio - Acrimònia Studios