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Cosa si cela dietro il luogo comune: “Voi giovani non avete proprio voglia di lavorare”?

Il punto di vista della nostra Fabiola Graziosi, una giovane imprenditrice italiana

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Sul biglietto di auguri del mio diciottesimo compleanno, da parte di mio padre, ho trovato la celebre frase di John Fitzgerald Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, scritta con il bellissimo inchiostro della sua iconica penna Montblanc.

Capirete bene quindi con quali valori io sia cresciuta. Prima di pretendere, capisci cosa puoi dare tu, il mondo che vuoi va costruito, il bene e nello specifico la correttezza la si trova cominciando ad applicarla in primis nei nostri atteggiamenti quotidiani. 

Ci ho sempre creduto, ho sempre condiviso, ho sempre adottato un atteggiamento positivo nelle mie relazioni professionali, ho sempre cercato di costruire un ambiente lavorativo in cui tutti potessero sentirsi rispettati e giustamente ricompensati. 

Ma quando sento storie come quella ultimamente virale sui social, in cui per un lavoro full time vengono offerti 280,00€ al mese e probabilmente in nero, onestamente non capisco se questa energia nel far sì che il futuro prossimo sia migliore la stia spendendo solo io. 

 
 
 
 
 
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Cercherò di andare nello specifico senza cadere in luoghi comuni e rimanendo super partes.

Francesca Sebastiani è una ragazza di 22 anni, proveniente da Secondigliano in provincia di Napoli. Il nome non vi dirà nulla, ma probabilmente vi ricorderete i suoi screenshot riportanti messaggi tra lei ed un possibile datore di lavoro, da lei condivisi prima su TikTok e poi su Instagram. 

La Sebastiani trova un annuncio online per una posizione di lavoro aperta, come commessa in un negozio di abbigliamento della sua città. Allora chiede allo store informazioni sull’impiego, racconta di aver già lavorato come commessa. Chiede quali siano gli orari di lavoro, che appaiono essere davvero impegnativi: dalle 9:00 alle 21:00, con pausa e pulizie annesse (non che ci sia nulla di male… ma non era un’addetta alla vendita?). 

Francesca non demorde, è giovane ha bisogno e voglia di lavorare. Gli orari vanno bene. Passa quindi alla domanda successiva: “Qual è il compenso?”. 

280,00€ al mese. Quasi 240 ore in trenta giorni per 280,00€. Qualsiasi risposta piccata da parte della ragazza sarebbe stata adeguata al contesto, ma si limita a rispondere con un elegante: “La ringrazio comunque ma non sono interessata”.

Quello che ho riportato potrebbe già bastare, ma il bello arriva dopo. Arriva quando il negoziante risponde al disinteresse di Francesca con una delle più famose ed inflazionate frasi italiane: “Voi giovani non avete proprio voglia di lavorare”. 

 
 
 
 
 
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Quante volte ce lo siamo sentiti dire? È vero ci sono alcuni giovani che non hanno voglia di fare nulla. Ci sono molti italiani che non mangiano spaghetti ogni giorno e tantissimi cinesi che agli involtini primavera preferiscono un hamburger.

Ci hanno chiamati per anni mammoni, con la variazione bamboccioni. Le statistiche Eurostat riportano che i giovani tra i 25 e i 34 anni vive ancora con i genitori. Chi esce di casa lo fa dopo i 30 anni. 

Siamo mammoni, siamo paponi, amiamo la nostra famiglia. Ma secondo voi se a 30 anni ci addormentiamo ancora nella nostra cameretta con i poster attaccati più di 10 anni fa lo facciamo perché abbiamo paura di dormire da soli, o perché non possiamo permetterci altro?

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Torcha (@torcha)

Non pensate che tutti i giovani che hanno voglia di fare, di costruire, per loro stessi e per gli altri abbiano letteralmente le ali tarpate in questo paese? Non pensate che imporre una tassazione sul lavoro sovramisura a giovani imprenditori e freelance sia totalmente inadeguato e nocivo per la crescita delle imprese stesse? 

Capiamoci, il concetto di imposte lo conosco molto bene. Mio padre (quello del biglietto) fa il commercialista, ho nel DNA il senso di onestà, di giustizia e la volontà contribuire per la mia società. So benissimo che pagare le tasse salva la vita a chi ha bisogno di chiamare un’ambulanza, ci consente di avere delle infrastrutture che ci permettano di viaggiare e scoprire il mondo e fa si che le persone meno privilegiate possano avere una vita dignitosa.

Ma mi chiedo perché non ci sia una divisione equa tra i contribuenti. Mi chiedo perché sia concesso a dei colossi dell’e-commerce che vendono in Italia di versare i contributi in altre nazioni o in paradisi fiscali. Mi chiedo perché chi potrebbe pagare delle tasse che facciano veramente la differenza si ostini a non pagarle e mi chiedo perché non vengano presi dei provvedimenti seri a riguardo.

Mi chiedo perché chi si comporta nella maniera più corretta possibile sia visto come una persona poco scaltra ai limiti della demenza. Mi chiedo perché l’imprenditore “furbetto del quartierino” sia lodato, apprezzato e persino emulato. Ma dove vogliamo andare?

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Torcha (@torcha)

Se sapessi rispondere a queste semplici domande, che nell’esecuzione dei fatti semplici non sono, probabilmente sarebbe una questione di facile risoluzione. Ma credo che in fondo poi, ognuno di noi conosca le risposte e che le conosca anche chi di fatto dovrebbe operare per rendere questo mondo, questo paese un posto migliore, civile e umano. 

Noi giovani abbiamo voglia di lavorare e di lavorare tanto. Vogliamo comprare la nostra prima casa, vogliamo costruire le famiglie del futuro. Ma soprattutto vogliamo essere trattati con rispetto e dignità. 

Vogliamo e voglio chiedermi ogni giorno cosa potrei fare per la mia società, ma pretendo e pretendiamo che la nostra società ci metta nelle migliori condizioni per darle ciò di cui necessita.