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Cessate il fuoco: Roma chiede la pace

Liceali e vecchi sessantottini, cattolici e operai, artisti e immigrati: alla manifestazione di Roma contro la guerra c’era anche Acrimonia. Per raccontarvi un’altra Italia

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La parola d’ordine è cessate il fuoco. A prescindere. E comunque. Nell’Italia che prende lentamente coscienza di essere precipitata dentro una guerra, dentro tante guerre, si affaccia un’onda di speranza. Un’onda che mette insieme vecchi sessantottini e liceali, piccoli borghesi e lavoratori. Artisti disposti a mettersi in gioco e universitari. Donne e uomini che si prendono la briga di scendere in piazza per dire che così non si può andare avanti. 

Spinti da Acrimònia a guardare negli occhi questa Italia, abbiamo partecipato alla manifestazione “Cessate il fuoco” di sabato 9 marzo a Roma, organizzata da Assisi Pace Giusta con il sostegno di Cgil, Emergency, Arci, Associazione Partigiani e tante associazioni cattoliche. La prima sensazione è stata quella di essere finiti in mezzo a gente bella. Gente che ci crede. Gente che non si accontenta degli slogan politici, della narrazione precotta fornita dai mezzi di comunicazione, ma sente forte la necessità di alzare la voce per chiedere lo stop immediato alle guerre in corso, quelle sulla striscia di Gaza, in Ucraina, in Siria, in Africa. Tutte le guerre.

30mila persone, secondo gli organizzatori. Un popolo variopinto e trasversale, nemico di qualsiasi violenza, che rivendica il diritto a manifestare e denuncia a gran voce le manganellate agli studenti di Pisa e Firenze chiedendo che non succeda mai più. Come fa la professoressa di Pisa salita sul palco allestito ai Fori Imperiali.

Il faro che guida la marcia è l’articolo 11 della Costituzione scandito con forza sotto un cielo buio rotto a tratti da pioggia e lampi di sole. "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" recita la legge su cui si fonda la Repubblica. Si parte da qui per chiedere l’immediato stop alle bombe su ogni campo di battaglia. Elio Germano elenca una serie di dati spaventosa che rende perfettamente l’idea della direzione folle presa dal pianeta. "Ogni anno nel mondo si spendono duemilacento miliardi di dollari in armi e nel 2024 solo l’Italia ne spenderà ventinove - denuncia l’attore e regista teatrale romano -. Se quei soldi fossero destinati a ridurre le diseguaglianze e migliorare la sanità, il mondo rinascerebbe. Con il costo di un solo sottomarino si assumerebbero ottomila infermieri per cinque anni".

Utopie? Utopie da perseguire con forza. Come quelle che alla fine degli anni Sessanta gli studenti cavalcavano sulle piazze d’Europa e alla quale si lega idealmente l’intervento di Fiorella Mannoia. «Io non sono brava a parlare, preferisco cantare. Però una cosa la voglio dire. Se mi avessero spiegato, quando ero una ragazza, che saremmo arrivati a ciò che vediamo oggi, non ci avrei creduto.  Chi parla di pace viene deriso o, peggio, finisce nelle liste di proscrizione. Noi avevamo la convinzione di poter cambiare il mondo, renderlo più giusto. Non ci siamo riusciti, è evidente che abbiamo fallito. Però io sono ancora qui, anche oggi. Sono qui perché non mi rassegno».

Come non si rassegnano le migliaia di ragazzi scesi sulle strade di Roma che alzano al cielo le bandiere della Palestina e della Pace. Ragazzi che chiedono un futuro che non sia questo pericolosissimo ritorno al passato più buio. Nessun politico parla, uno striscione dice tutto: "Siamo ebrei e palestinesi, siamo russi e ucraini: l’umanità non ha confini"

Non manca molto al tramonto. Gli altoparlanti intonano a tutto volume “Casa mia” di Ghali. Il corteo si scioglie, mentre nell’aria galleggia una strofa di Fabrizio De Andrè rimbalzata sul palco: "Che la pietà non vi rimanga in tasca".

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios