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Caso Dolce&Gabbana: la rabbia della Chinatown milanese

Siamo andati in Via Paolo Sarpi, nel cuore del quartiere cinese di Milano, dopo lo scandalo Dolce&Gabbana: tra silenzi, mezze frasi e accuse, le reazioni di una comunità indignata

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La bufera Dolce&Gabbana non accenna a placarsi. Il video di scuse non ha fatto altro che accrescere il clamore attorno alla clamorosa gaffe commerciale che ha coinvolto la casa di moda italiana. Per tastare il polso alla comunità cinese di Milano siamo stati in Via Paolo Sarpi, il cuore della Chinatown meneghina. E abbiamo chiesto a commercianti e passanti un commento, un loro pensiero riguardo a quanto accaduto.  Dopo l’indignazione riguardante i primi tre video promozionali, che avrebbero dovuto anticipare la grande sfilata del 21 novembre a Shangai “DG The Great Show” e che ritraevano un’impacciata ragazza cinese mangiare un piatto di spaghetti, una pizza e un cannolo con le bacchette, il popolo cinese è rimasto shoccato dalle parole di di Stefano Gabbana che ha definito la Cina “[…] un paese di merda”, rincarando poi la dose con tre aggettivi “ignorante, sporco e puzzolente” che hanno profondamente ferito il paese. Le chat delle offese sono state pubblicate dall’account Instagram @dietprada, celebre profilo di moda, e mostrano uno Stefano Gabbana fuori di sé, inconsapevole delle conseguenze, accecato dalla rabbia. 

 
 
 
 
 
 
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In sostanza, dopo aver realizzato tre video basati su una Cina stereotipata, i titolari del brand hanno peggiorato definitivamente la situazione con le parole durissime salvo poi ritrattare dichiarando, conseguentemente, di essere stati vittime di hackeraggio. Nel video di scuse pubblicato nelle ultime ore compaiono Domenico Dolce e Stefano Gabbana davanti una carta da parati oro e bordeaux che affermano: “Proveremo a fare di meglio e rispetteremo la cultura cinese in tutto e per tutto”. Il boicottaggio da parte degli e-commerce, tuttavia, è stato inevitabile. Il brand è stato escluso da diverse piattaforme cinesi e da tutti e tre i big asiatici del settore Tmall, JD.com e Suning.  Che cosa ne pensa la Chinatown milanese di quanto accaduto? Quali sono le opinioni della comunità cinese nella capitale della moda italiana? A solo un giorno dallo scandalo siamo stati in diversi negozi che affacciano su via Paolo Sarpi e l’atteggiamento diffuso è quello della prudenza. Inizialmente, sembra che nessuno voglia esprimere la propria opinione, che nessuno si voglia schierare a favore o contro qualcuno, che tutti siano a conoscenza dell’accaduto e che tale accaduto non li tocchi. Sono rispettosi della propria patria, quasi timorosi nel dire anche solo di essere a conoscenza di quanto successo. Tuttavia, un minimo di insistenza li porta, finalmente, ad alcune dichiarazioni con la richiesta, però, di mantenere l’anonimato.  “Dolce&Gabbana sputa nel piatto dove mangia”, “I video sono offensivi e dipingono stereotipi nei quali non ci riconosciamo”, “Come vi sentireste voi ad essere ritratti come ignoranti, incapaci e ad essere derisi?”. La nostra risposta è: “Pizza, mafia e mandolino”, loro ribattono: “Non sono battute tra amici, noi rappresentiamo un terzo del fatturato della loro azienda.”  Poi, entriamo in una gioielleria. L’atteggiamento è più cortese, la propensione quella, come di tutti gli altri, di non parlare. Prima di uscire, però, la proprietaria afferma che tutti possono sbagliare, che nessuno è condannabile per un errore e soprattutto che gli errori vanno perdonati. Stefano si commuoverebbe…  Ci imbattiamo, proseguendo per la via pedonale, per un negozio che ha, addirittura, fatto stampare t-shirt e shopper bianche ritraenti il viso di Stefano Gabbana, la scritta “Not Me” e gli screen delle chat con la collaboratrice di @dietprada. Entriamo, convinti, che avremmo finalmente ascoltato parole più accese. L’atteggiamento è quello, invece, della completa reticenza. “La nostra è una mossa di marketing…”, “Non ci schieriamo dalla parte di nessuno, sfruttiamo il trend del momento…”, “Niente è in vendita…”. Il paradosso tra mossa di marketing e scelta di non vendere è chiaro a tutti, ma preferiamo non discutere.  Caso-D&G,-la-rabbia-dei-cinesi-d’Italia_acrimoniamagazine2 Percorsa quasi tutta la strada, torniamo indietro e ci fermiamo nel più famoso negozio di antiquariato della via. Ci accolgono una ragazza e una signora un po' più anziana. La ragazza è decisa: “Non mi interessa”. Interviene la signora: “Quello che è successo con Dolce&Gabbana è successo con Dolce&Gabbana, non con tutta l’Italia. Non voglio generalizzare. Anzi il colpevole è Stefano, Dolce non c’entra niente”, afferma convinta. Poi, emerge la saggezza: “E’ appena successo, deve passare del tempo, come il giorno che ha una sua durata. La Cina ha bisogno di tempo, piano piano…”, “Stefano deve scusarsi con il cuore, quello che si è percepito è la sua finzione”. Aggiunge: “Tutte le persone si sbagliano, basta correggersi. I video promozionali hanno fatto arrabbiare alcuni, non tutti. Se un video non ti piace, puoi non guardarlo. Le offese, invece, quelle serie sono arrivate dopo, ma Gabbana è un artista non un assassino, lui crea e verrà perdonato.” “Io non sono arrabbiata, lui non è furbo, lui è un pazzo!” E’ la volta di un negozio di abbigliamento. Due giovani ragazze cinesi, apparentemente timide, quasi si fiondano su di noi per rispondere: “Stefano Gabbana è un maleducato, non è sincero. Le sue scuse sono state pubblicate solo su Weibo.” “Il video con la modella cinese è basato su stereotipi, non è offensivo, è banale e non veritiero. Si struttura su metafore sessuali, non è degno di un brand di lusso.” “Noi questo lo chiamiamo razzismo.” L’ultimo negozio è di cosmetica. Le commesse, tutte donne, sembrano non essere interessate alla questione. Finché dal magazzino non ne esce una che chiude così la nostra ricerca: “Gli stereotipi non piacciono a nessuno. Li combattiamo noi, li combattete voi, li combattono gli altri… In Cina, noi, la pizza la mangiamo con forchetta e coltello!”  

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