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Riparte la serie A, pochi fuoriclasse e molti debiti

Il Napoli campione d’Italia apre la stagione del calcio, lo sport più amato costretto a fare i conti con un quadro economico che fatica a stare in piedi

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È il Napoli campione d’Italia ad aprire, sul campo del Frosinone neopromosso, l’edizione numero 122 della Serie A, la novantaduesima a girone unico. Come avviene ormai da molti anni, le squadre iniziano la stagione con la rosa ancora da completare: la finestra estiva del mercato chiude il primo settembre e fino a quel momento gli equilibri possono cambiare.

 
 
 
 
 
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La società che si è mossa di più è senz’altro il Milan: la cessione di Tonali al Newcastle per 70 milioni - mai un italiano era stato pagato tanto - ha permesso al club di mettere in piedi una serie di operazioni che hanno portato a Milano otto giocatori di livello. 

 
 
 
 
 
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Per il momento i fuoriclasse sono rimasti dove erano: sono arrivati molti buoni calciatori, ma nessuno che possa diventare Ronaldo o Messi. La variante intervenuta durante l’estate è stata la massa di denaro immessa sul mercato europeo dai club dell’Arabia Saudita. Attratti dagli ingaggi pazzeschi offerti dagli sceicchi, hanno lasciato il vecchio continente campioni come Benzema, Neymar e, per quanto ci riguarda, Milinkovic Savic e Brozovic.

Schiacciata dai debiti e da una situazione finanziaria sempre meno sostenibile, la serie A, che pure resta una delle prime dieci industrie del paese, cerca di rimanere a galla facendo i conti con le difficoltà che le tre stagioni del Covid hanno elevato alla potenza. Eppure il nostro calcio di vertice ha numeri che permetterebbero, a fronte di una politica oculata, di individuare percorsi per uscire dalla crisi. Sono 34 milioni gli italiani, il 57 per cento della popolazione, innamorati del pallone e 1,4 milioni i tesserati della Figc.

Il calcio resta dunque una locomotiva: produce un totale di ricavi diretti che supera i 5 miliardi di euro e si stima che l’incidenza complessiva sul Pil arrivi a 11 miliardi. Solo nel post Covid si calcola che siano stati attivati 126 mila posti di lavoro all’interno dei 12 settori merceologici che il sistema abbraccia, dalla comunicazione al turismo, passando per i trasporti, la ristorazione, la medicina sportiva, la cultura, l’abbigliamento, i videogiochi, l’impiantistica, le scommesse, i servizi, la tv e la pubblicità.

Eppure il carrozzone è in ginocchio: gli introiti dei diritti tv e radio non possono bastare, gli incassi allo stadio sono una fetta troppo piccola e il costo del lavoro aumenta a dismisura, al punto che l’indebitamento complessivo ha superato la soglia dei 5,6 miliardi. La realizzazione degli stadi di proprietà potrebbe ridare ossigeno ai club, ma la burocrazia che avvelena il paese frena qualsiasi operazione al riguardo.

In un quadro così problematico, gli arbitri si preparano a dare il fischio d’inizio e gli italiani si organizzano per andare alla partita in piena estate. Quest’anno il grande favorito è il Napoli che ha perso Spalletti (prossimo ct azzurro dopo l’addio di Mancini) ma ha ha cambiato poco e ha la consapevolezza di essere una squadra fortissima. Dietro ci sono la Lazio, seconda la scorsa stagione e forte della garanzia Sarri, il Milan delle otto facce nuove, l’Inter che oggettivamente si è indebolita con la partenza di Onana, Brozovic, Skriniar, Dzeko e Lukaku, la Juve che Lukaku ha aspettato a lungo prima di rimanere a bocca asciutta,  la Roma che Lukaku ha portato a casa e gioca con altri due assi nella manica: l’Olimpico sempre pieno e Mourinho.

 
 
 
 
 
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Sul campo le nostre squadre sanno come ci si muove: la scorsa stagione abbiamo avuto tre finaliste, Inter, Roma e Fiorentina, nelle tre coppe europee. Non ne abbiamo vinta nemmeno una. Però ci siamo divertiti.

 

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios