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L’AI non ucciderà i giornalisti

Quali sono i rischi per il mondo dell’informazione di fronte al cambiamento epocale che si prospetta? E quali i vantaggi? Ce lo spiega Pasquale Mallozzi, già docente di comunicazione a La Sapienza di Roma, autore del saggio “Si può incartare il pesce con l’intelligenza artificiale?”

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Fermate le macchine, ribattiamo la prima edizione. La notizia è enorme: l’intelligenza artificiale non ucciderà i giornalisti. L’impatto emotivo che avrebbe potuto pervadere  verso mezzanotte la redazione di un giornale una cinquantina d’anni fa, non è molto diverso da quello che procura oggi un colloquio con Pasquale Mallozzi, studioso di processi comunicativi, autore del libro “Si può incartare il pesce con l’intelligenza artificiale?”.

Mallozzi, già docente di Sociologia della comunicazione all’Università La Sapienza di Roma, attualmente svolge la stessa funzione presso l’Università Cusano. Il suo saggio, oltre a raccogliere 100 pezzi chiave, inquadra la storia dei 450 anni di giornalismo, storia che stiamo già dimenticando e a cui l’AI (l’acronimo di intelligenza artificiale) potrebbe dare il colpo di grazia. E mette a fuoco, in modo nitido, quelli che possono essere, nel campo della comunicazione, gli sviluppi del giornalismo alla luce dalla rivoluzione in atto. Perché è ormai opinione condivisa nella comunità scientifica che siamo di fronte a un punto di cesura. L’irruzione dell’AI cambierà radicalmente il mondo, così come è successo, due secoli fa, con la rivoluzione industriale, il passaggio dalla diligenza al treno, dalla zappa al trattore. E nulla sarà più come prima.

Al contrario di molti suoi colleghi, Mallozzi non alimenta il clima di allarme che infiamma il dibattito, ma allarga il più possibile l’orizzonte alla ricerca delle opportunità che il cambiamento epocale che ci prepariamo a vivere può generare. «Il punto di partenza è che l’intelligenza artificiale è comunque uno strumento creato dall’uomo e messo in campo al servizio dell’uomo».

Non c’è il rischio che sfugga di mano?

Il rischio c’è oggi così come c’era in passato. Nella fattispecie le modalità con cui agisce l’intelligenza artificiale, sono, in qualche modo una garanzia.

Perché?

Per un motivo semplice. L’AI procede in forma probabilistica, statistica, non logica. E data l’enorme mole di informazioni a cui fa riferimento non può che generare elaborati che sono il frutto di tutte le nozioni che l’uomo ha raccolto e inserito in rete.

Cioè?

Le faccio un esempio. Un ragazzo al termine di un percorso di studi costruirà un ragionamento sulla base delle nozioni che appreso. Cosa fa la macchina? Elabora le informazioni in suo possesso e le ordina sulla base di ciò che è statisticamente più probabile.

Ma se le informazioni sono sbagliate?

Se gli chiediamo di elaborare fregnacce può farlo. Può farlo se la domanda (il prompt) non è ben formulata, può farlo perché cerca in prima battuta comunque di compiacerci, di darci soddisfazione. È servizievole. Può inoltre produrre fregnacce se il materiale con il quale è stata istruita conteneva fregnacce. Ma questo, paradossalmente, è una fortuna.

 
 
 
 
 
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Una fortuna?

Sì, perché spingerà sempre e comunque a prevedere un controllo umano che ragioni eticamente e filosoficamente meglio dell’AI. Saremo costretti a farlo. 

Quindi il rischio di manipolazione esiste.

La manipolazione è propria dell’uomo, non della macchina. È possibile che venga messa in atto, così come poteva essere messa in atto in precedenza.

Abbia pazienza: se la macchina è in grado di elaborare un servizio in modo compiuto, cosa ci stanno a fare i giornalisti?

La macchina non trova notizie. Certo può redarre un comunicato stampa, magari meglio di un giornalista. Ma un comunicato stampa è un prodotto giornalistico?.

Ce lo dica lei.

Direi di no. Dunque bisogna distinguere.

Si spieghi.

Distinguere le funzioni. È chiaro che tutto ciò che attiene ai fatti, alle emozioni, agli stati d’animo, a ciò che si manifesta a livello sensoriale può essere esclusivamente tradotto nelle varie forme da un giornalista. Se si tratta di mettere in ordine una serie di informazioni di servizio, di elaborare statistiche, è palese che l’AI lo possa fare in un tempo enormemente minore. Magari traducendolo contemporaneamente in 15 lingue.

Quindi l’intelligenza artificiale è semplicemente uno strumento.

Esattamente. Uno strumento che può essere utilissimo se messo al servizio del giornalista. Il quale a questo punto può tornare a svolgere la sua funzione uscendo dall’angolo in cui era stato spinto dall’avvento dei social e della disintermediazione.

Disintermediazione?

Prima i giornalisti erano gli unici ad avere la possibilità di accedere alle fonti. Quindi l’informazione passava per forza da loro. Poi sono arrivati Twitter, Facebook, Instagram, TikTok. E le fonti hanno iniziato a comunicare in modo diretto.

E adesso invece?

Adesso siamo a un punto di svolta. E i giornalisti hanno la possibilità di riappropriarsi del proprio ruolo, quello di dare notizie, svelare l’inghippo, trovare l’errore, spezzare le catene, cercare la verità.

 
 
 
 
 
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Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Usando in maniera intelligente l’AI, recuperando un senso del giornalismo perso in questi anni anche per colpa dell’imbarazzo e dell’allergia nei confronti dell’innovazione e della tecnologia. È un’occasione storica.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios

Foto Pasquale Mallozzi