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Ai funerali del fu mai re

Vittorio Emanuele di Savoia si è spento a 86 anni. Il racconto di una giornata sospesa nel tempo, tra le speranze, diventate per un giorno realtà, dei sudditi di un regno che non c’è più

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Il 10 febbraio Torino si sveglia sotto la pioggia; non poteva esserci tempo più britannico per l’evento in programma. Meteo monarchico per definizione. La piccola piazza di fronte al Duomo di Torino è blindatissima; le arterie acciottolate del centro storico di Torino fanno confluire le persone verso quello che, per un giorno, tornerà a essere il cuore della penisola. Almeno nell'animo di alcuni.

Il 3 febbraio scorso, a 86 anni, si è spento Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, duca di Savoia e pretendente al trono d’Italia. Per i suoi funerali, sono attese teste coronate da tutta Europa, sudditi fedeli e tanti curiosi.

Mi accoglie il volantino di uno dei partiti della galassia monarchica italiana, uno sfogo contro le calunnie mosse al “principe perseguitato”. Chiedo a chi me lo ha dato cosa voglia dire essere monarchici oggi: “ al contrario di come si pensi, non si guarda al passato ma al presente e al futuro. In molti paesi europei, considerati democratici e più efficienti, i capi di Stato sono re e regine. È l’unica forma che garantirebbe una figura super partes al Quirinale, che faccia veramente gli interessi degli italiani. La famiglia reale sarebbe l’aggregatore dei cittadini, o sudditi, il punto di riferimento per tutte le famiglie italiane”.

Eppure persino i Savoia hanno avuto i loro problemi familiari, legati alla successione: “anche un re e una regina sono persone, possono sbagliare ma la validità della monarchia rimane invariata. I dittatori più tremendi della Storia sono stati presidenti di una repubblica, non re”. Tolstoj attuale più che mai: “tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.

Due amici, un paio di baffi bianchi e asburgici ciascuno, chiacchierano sotto l’ombrello: sono venuti a rendere omaggio al nostro re, ci tengono a queste cose, sono appassionati della storia della famiglia reale. Al più piemontese dei due chiedo se si definisce monarchico: “no, però non sarebbe una catastrofe in Italia: mangerebbe uno solo e non tanti come succede a Roma. I reali d’Europa sono più credibili, noi siamo rappresentati da pagliacci”.

Due fratelli, sulla trentina: anche loro affascinati dalla liturgia monarchica fatta di incoronazioni, incroci di linee dinastiche e stemmi. Anche loro delusi da una classe politica poco credibile: il nome di un Cavaliere sfugge, ripetutamente, dalla bocca di molti in piazza. Generazioni a confronto, così lontane e vicine allo stesso tempo: forse amarezza e sentimento monarchico non guardano la carta d’identità.

Mentre la bara con il tricolore coronato poggiato sopra entra in Duomo, uno dei due baffuti sabaudi mi chiama: “li vedi quelli lì, con il mantello e il basco in testa? Sono le Guardie d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon: mi sono documentato e sono tutti avvocati, medici, persone a modo da prendere a modello. Mica come il popolino che ieri era alla camera ardente a Venaria. Gli chiedo se è andato: “ovvio!”.

La messa è iniziata, un mantello si muove e cerca di avvicinarsi a uno dei maxischermi installati per l’occasione fuori dalla chiesa: una signora, con basco e distintivo della Guardie d’Onore. Per lei farne parte significa essere custode della storia della casa Savoia, che non inizia con l’Unità d’Italia. Fare la guardia fisicamente alle tombe reali è un onore e un dovere. Con lei voglio scrivere un po’ di Fantastoria. 2 giugno 2046, a 100 anni dal referendum si ha la possibilità di rivotare: cosa succederebbe?

Le assicuro che le cose cambierebbero; tante persone sono stanche di alcune situazioni che con la monarchia non c’erano. Ha commesso i suoi errori, certo: li hanno fatti per evitare una guerra civile però”.

Mentre monsignor Paolo De Nicolò, priore degli ordini dinastici, celebra le qualità di Sua Altezza, le telecamere inquadrano le teste coronate accorse da tutto il vecchio continente: Alberto di Monaco, la regina Sofia di Spagna, Aimone di Savoia-Aosta, reali di Belgio e Lussemburgo. Non sono mancati neanche i discendenti di Napoleone e dei Borbone delle Due Sicilie: anche questa sembra una pagina di Fantastoria. Tanti i curiosi accorsi per vederli e per partecipare a un evento storico. Tra loro due ragazze dicono di essere venute in piazza, curiose di capire se ci fosse qualche nostalgico. “Mi sembra che molti siano qui per il nostro stesso motivo: mi aspettavo più persone, anche più istrioniche, in cerca di visibilità”. Anche a loro pongo il quesito referendario: “Avessimo avuto i Windsor saremmo state in dubbio, ma abbiamo avuto la famiglia reale più trash d’Europa. Per non parlare poi delle responsabilità storiche legate all’ascesa del fascismo. Assolutamente viva la res publica!”.

Ci sono poi esponenti di partiti monarchici che la repubblica vorrebbero metterla in discussione alle urne. Mi spiegano che per fare questo sia necessario modificare un comma della Costituzione, che impedisce di cambiare la forma istituzionale: senza questo non si può indire un nuovo referendum. 

Chissà come si vive da monarchico in una repubblica: “la si accetta e la si serve come si può. Detto ciò, cercare di cambiare la Costituzione non vuol dire fare un colpo di stato o essere incostituzionali: i partiti monarchici ci sono sempre stati. Non credo sia la più bella del mondo, come spesso si dice: se si vieta ai cittadini di cambiare in eterno la forma istituzionale, si compie un atto antidemocratico”.

È un giorno sospeso nel tempo; ho finalmente afferrato la teoria della relatività. Per molti una giornata unica, un tuffo nel passato dalle sfumature pseudo teatrali; per altri un giorno sì triste, che fa parte però di un continuum in cui il legame con la monarchia non si è mai rotto, congelato nell’attesa di un ritorno ancora tanto sperato. Nessuna delle persone con cui ho parlato è nata sotto la monarchia, eppure la frustrazione per lo stato attuale delle cose è così tanta che accende una ricerca di simboli in cui riconoscersi, di risposte nel passato.

La funzione finisce, il silenzio che accompagna l’uscita del feretro è rotto da una voce e da quattro parole: “viva Vittorio Emanuele IV!”. La piazza però si sta già svuotando: tutti repubblicani quando piove.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio - Acrimònia Studios

Foto di Federico Ingemi