La vincitrice del Nobel per la Letteratura è una poetessa che con l’apparente semplicità dei suoi versi cattura temi universali di solitudine e legami familiari
Non mi aspettavo di sopravvivere, la terra mi stava sopprimendo. Non mi aspettavo di vegliarmi di nuovo, di sentire nel terreno umido il mio corpo capace di reagire di nuovo, ricordando dopo così tanto come sbocciare di nuovo nella fredda luce di un inizio di primavera –
spaventata, sì, ma di nuovo tra voi urlando sì, rischiate la gioia
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Sono giorni decisamente frenetici per il mondo della cultura, ma allo stesso tempo strani. In una Stoccolma più vuota del solito a causa della pandemia si stanno assegnando i premi Nobel. Nella categoria Letteratura ha trionfato a sorpresa la poetessa Louise Glück (sedicesima donna a vincere il premio) con questa motivazione: “per la sua inconfondibile voce poetica che con bellezza austera rende l’esistenza individuale universale”. E leggendo le parole dalla poesia Snowdrops che ho riportato in apertura, veniamo investite da questa austera bellezza, da un’immagine apparentemente semplice, presa dal mondo della natura, ma che allo stesso tempo parla di un senso di rinascita collettiva inaspettata, un messaggio di speranza che sembra tessuto apposta per questo periodo, dove abbiamo bisogno di parole lievi, disperate ma piene di vita.
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Louise Glück nasce a New York nel 1943 da una famiglia ebrea di origine ungherese e cresce a Long Island. Due vicende segnano la sua adolescenza: la morte della sorella, avvenuta prima che lei nascesse e l’anoressia, malattia di cui inizia a soffrire durante gli anni dell’adolescenza, descritta come una “una manifestazione distorta di un desiderio di controllo” e che la porta a lasciare la scuola e a sottoporsi a sedute di psicanalisi per sette anni. Incoraggiata da sempre alla scrittura dai genitori, amanti dell’arte e della letteratura, studia al Sarah Lawrence College e alla Columbia University. Oggi insegna Letteratura Inglese all’Università di Yale. Nel corso della sua carriera poetica ha pubblicato 12 raccolte di poesie e vari saggi di critica; tra i premi più importanti vinti citiamo il prestigioso Pulitzer per la raccolta The Wild Iris nel 1993, il titolo di poeta laureato nel 2013, il National Book Award nel 2014.
La poesia di Louise Glück è come un giardino. Un giardino dove la natura scandisce la vita dell’umanità, dove i cicli di nascita e morte sono inevitabili, ma vanno affrontati e vissuti nonostante tutto, con l’aiuto del potere dell’arte. C’è un senso di oscurità e una tristezza quasi sognante, da “mondo perduto”, eppure c’è quasi un senso di leggerezza: tematiche come solitudine, relazioni familiari, divorzio, disperazione esistenziale, sono raccontati con una lingua pura, quasi colloquiale e facilmente accessibile, ma che allo stesso tempo contiene un senso di mistero, di solennità che le rendono intense, quasi profetiche, sembrano “provenire direttamente dal centro dell’io”, come nota la critica Wendy Lesser. Uno stile che sembra inserirla in una linea di autrici introspettive come Emily Dickinson e Sylvia Plath.
Appassionata conoscitrice della mitologia classica, riprende miti e leggende e li rilegge nella chiave contemporanea di una donna dei nostri giorni: centrale il rapporto conflittuale tra madre e figlia, divisa in un difficile equilibrio tra la ricerca di una propria identità e le radici del passato, esemplificato dalle poesie sulla figura di Persefone, nella raccolta Averno.