Il lungo cammino verso una società migliore
Un rapporto dell’Oil, (l’Organizzazione internazionale del lavoro) datato maggio 2019 mette le cose in chiaro: oltre ad affermare che le imprese che promuovono la diversità di genere ottengono un significativo aumento dei profitti, sottolinea che un aumento dell’occupazione femminile è associato a una crescita del prodotto interno lordo. Quest’ultimo risultato è basato su un’analisi dei dati di 186 paesi per il periodo 1991-2017. “Le aziende – dichiara Deborah France-Massin, direttrice dell’ufficio dell’Oil per le attività dei datori di lavoro – dovrebbero considerare la parità di genere tra il loro personale come un fattore fondamentale”.
Eppure, nonostante questi dati suggerirebbero di annullare qualsiasi tipo di discriminazione, la differenza tra uomo e donna resta ancora marcata. Soprattutto a livello retributivo e soprattutto, per quel che riguarda il perimetro europeo, nel nostro paese. Lo mette a fuoco il Gender gap report 2019 realizzato dall’Osservatorio JobPricing con Spring professional. In Italia la differenza di compensi tra lavoratore uomo e donna, pur essendo diminuita del 2,7 per cento dal 2016 al 2018, resta comunque ampia: il gap medio registrato è di 2.700 euro lordi pari al 10 per cento in più a favore degli uomini.
Ma perché in una società capitalistica come la nostra, in cui il profitto dovrebbe essere il faro di riferimento di qualsiasi impresa, si registra un paradosso come questo?
In primo luogo, certamente, per un fatto culturale. Non dimentichiamoci che il massiccio ingresso della donna nel mondo del lavoro è un fenomeno relativamente recente, così com’è relativamente recente la concessione dei diritti fondamentali. Oggi, mentre si discute di “ius soli” e di concessione della cittadinanza agli immigrati, potrebbe sembrare un’eresia negare alle donne la possibilità di votare. Eppure, fino al 1946, anno in cui, in Italia, l’accesso alle cabine elettorali venne allargato alla popolazione femminile, questo era un fatto scontato.
Millenovecentoquarantasei, meno di 75 anni fa: quando alle signore di città era sconsigliato di uscire senza coprirsi il capo e alle donne di estrazione rurale era consueto l’uso del velo.
Si dirà: 75 anni sono un’eternità. E infatti le cose sono radicalmente cambiate, ma non in modo sufficiente per cancellare, ad esempio, la vergogna del femminicidio, ferita ancora terribilmente aperta nel corpo della nostra società. Una società che, negli ultimi anni, sta subendo pericolose battute d’arresto sul piano dell’istruzione, permettendo che ampie aree sviluppino relazioni sociali basate sulla legge del più ignorante, del più forte e del più violento.
Oggi si celebra la festa della donna: sfruttiamo l’occasione per dire che è necessario mettere in campo un grande sforzo collettivo, affinché l’istruzione, lo studio, la conoscenza e il rispetto verso l’altro tornino a essere al centro della vita di ogni angolo del nostro paese. Questo a vantaggio di tutti, anche degli uomini, per i quali non si ha notizia che nel corso dell’anno sia mai stata programmata una festa analoga a quella della donna. Non pare difficile capire perché.