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Valerie e il diritto di avere un futuro

Tempo di lettura: 4 min.

La foto di Valerie sulle macerie della scuola di Kharkiv è il simbolo delle future generazioni che vogliono ricostruirci

Conserviamo nel nostro bagaglio culturale generazioni di individui cresciuti a pane e ribellione, anche per solo sentito dire. È una ribellione figlia di società, capitalismo, omologazione, corruzione, guerre e chi ne ha più ne metta. È quella ribellione per cui hanno indossato il mantello rosso musica, cinema, arte o letteratura, per rendersi paladini di libertà, affermazione di sé e lotta contro le ingiustizie. E un segno è stato indubbiamente lasciato se in piazza voci giovanissime protestano contro cambiamenti climatici, omotransfobia o disparità di genere.

Ma a tutto dovrebbe esserci un limite. Un limite invalicabile entro il quale rendersi conto che quel gesto di ribellione deve essere certo sbandierato come un orgoglio della nostra generazione, ma anche come una sconfitta del mondo in cui viviamo. Valerie è uno di questi limiti. Lei e il suo vestito rosso sono infatti diventati virali in questo periodo. Ha 16 anni ed è di origini ucraine, precisamente di Kharkiv, uno di quei luoghi insomma che ormai a nessuno di noi suscita indifferenza.

 
 
 
 
 
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La foto che la ritrae e l’ha resa popolare sembra proprio una di quelle immagini tratte da un film. Magari una di quelle solite pellicole sulla guerra che ci propinano a scuola, che diamo per scontate, perché a recitare ci sono anche bambini o giovani e quindi ci ritroviamo a dover per forza provare compassione per quieto vivere con l’insegnante.

Ma qui non si tratta di nessuna fiction e ciò che si prova osservando la foto non è assolutamente nulla di riciclato. Valerie veste i panni di se stessa, o meglio, di colei che avrebbe dovuto essere in questo giugno: indossa un ampio e vaporoso vestito rosso, uno di quelli che sogni per mesi interi e che non riesci quasi a credere che indosserai. Oppure, come in questo caso, che non riesci nemmeno a credere dove lo indosserai. I capelli sono meticolosamente raccolti, il viso truccato come da occorrenza, ma gli occhi sono bassi. Fissano un punto non meglio specificato, sperando forse di risollevarsi e di non vedere ciò che al momento li circonda: la scuola, il teatro di quel favoloso spettacolo che sarebbe stato il ballo di fine anno, è un cumulo di macerie e detriti.

 
 
 
 
 
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Le mura dell’edificio restano su per miracolo; sono quelle stesse mura che uno studente vede quasi come incrollabili, a volte sperando per assurdo il contrario: dentro quelle mura dovrà per forza svolgere quell’odiatissima verifica di matematica, ascoltare quella noiosissima lezione su come gli uomini primitivi abbiano acceso il fuoco oppure rivedere quell’amica con cui non aveva più parlato dall’estate precedente. Ma se ci pensa, sa che è un bene che siano incrollabili: quelle mura accolgono da sempre i pianti per le insufficienze o per gli amori finiti o le risate per quello dell’ultima fila che attacca sempre i chewing-gum sotto al banco; quelle mura vedono migliaia di occhi come quelli di Valerie guardare oltre le finestre e immaginarsi medico, ballerino, avvocato, matematico, estetista, pittore, fisico o semplicemente qualcuno di felice che deciderà dopo cosa voler fare.

 
 
 
 
 
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Anche gli studenti della scuola di Kharkiv lo pensavano e avevano già programmato la festa per il diploma, come racconta Anna Episheva, la zia della giovane ragazza che ha proprio postato sui social la foto.
Dal 27 febbraio la scuola è stata rasa al suolo dai bombardamenti russi. Non c’è stato nessun festeggiamento, nessun ballo con centinaia di studenti emozionati per la fine della scuola e il futuro imminente. A crollare è stata anche e soprattutto la speranza nei confronti dei più piccoli e della loro incolumità; a restare invece, tra quelle macerie che Valerie tristemente osserva, è la certezza che il mondo circostante non è neanche l’ombra di ciò avevano immaginato in quelle aule di scuola.

Il mondo è fatto quindi di chi non guarda in faccia nessuno, nemmeno coloro che dovranno prendere domani il posto degli adulti di oggi. Ben più importante è la propria avidità presente e se questo vuol dire distruggere le vite di centinaia di giovani, che sia fatto, senza scrupoli.

 
 
 
 
 
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Valerie questo lo sa e decide di calpestarlo, con gli unici strumenti che un ragazzo della sua età possa avere: la dolcezza e la speranza. Un po’ come il buon vecchio Ligabue ci esortava a fare alla fine degli anni “90: balliamo sul mondo, va bene qualsiasi musica, cadremo ballando. Sul mondo, lo sai, si scivola.”

Ci uniamo sicuramente alle parole della zia Anna, “Grazie, mia cara Valerie, per essere forte e coraggiosa”, ma dovremmo riflettere, purtroppo e farlo con toni più drammatici. Non possiamo accogliere questo gesto di ribellione solo con entusiasmo, come uno dei tanti gesti impavidi di cui sono capaci i nostri giovani.

La foto di Valerie è un simbolo allarmante di ciò che resta oggi ai ragazzi sotto quelle macerie. Purtroppo questa non è una musica divertente su cui ballare. Sicuramente sul mondo si scivola, ma su questo si cade rovinosamente, perché nessuno tiene in conto il fatto che tu abbia ancora 16 anni e una vita davanti.

La normalità è venuta meno e non è più così scontato che un adolescente possa terminare gli studi in una scuola integra, diplomarsi con i compagni, festeggiare e scegliere cosa fare successivamente.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da RaiNews (@rainewsofficial)

I giovani ci stanno mettendo del loro per restare aggrappati alla vita nonostante i cumuli dei bombardamenti sotto i piedi: non solo Valerie, anche altri suoi coetanei di Kharkiv hanno infatti diffuso in rete un video in cui ballano a ritmo di un valzer pop. Le mura della nostra normalità sono crollate, eppure la speranza resta: quella speranza di sapere che, in mezzo a così tanto orrore, si possa avere comunque il desiderio di ricostruire il mondo da zero.

150 150 Giulia Mossuto
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