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Si può davvero immaginare che la finale dei Campionati europei sia in cima ai pensieri degli attuali leader dell’Europa?

Tempo di lettura: 3 min.

Brexit, l’incompiuta

Alla fine del vertice tra Angela Merkel e Mario Draghi, dove si è prevalentemente discusso sul ricollocamento degli immigrati, il Premier italiano in conferenza stampa ha spiazzato tutti: “Sì, mi adopererò affinché la finale degli Europei non si faccia in Paesi dove il contagio cresce”.

La Merkel non solo non lo ha contraddetto ma aggiunto: “La Gran Bretagna è una zona a rischio variante del virus. Tutti quelli che arrivano da lì devono stare 14 giorni in quarantena e le eccezioni sono davvero pochissime. Io credo, anzi non credo, spero che la Uefa agisca in modo responsabile. Non troverei positivo che ci fossero stadi pieni lì”.

E qui Draghi ha avuto la cortesia di non sottolineare che la quarantena per chi arriva dal Regno Unito, in Italia è di soli cinque giorni.

Tanto è bastato da mandare in visibilio tutta la stampa sportiva italiana che con la sua insopportabile retorica ha subito inneggiato alla finale degli Europei all’Olimpico di Roma.

La Uefa ha risposto che è impensabile spostare la sede della finale, mentre gli inglesi, con tutta la boria di cui sono capaci, hanno affermato che riempiranno lo stadio di Wembley con 80.000 persone.

 
 
 
 
 
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Intanto per gli ottavi di finale la partita Inghilterra- Germania, vinta dagli inglesi, ha visto Wembley riempirsi con più di 40.000 spettatori, quasi tutti inglesi, viste le restrizioni Covid-19 adottate dalla U.K., in fatto di quarantena.

La tanto decantata sportività inglese si è “dimostrata” con tutta la sua “piccolezza” vietando ai tedeschi di allenarsi sul campo dello stadio, come di consuetudine, con la scusa di preservare il manto erboso per i quarti.

Si può davvero immaginare che la finale dei Campionati europei sia in cima ai pensieri dei due attuali leader dell’Europa?

È palese che la Brexit sia ancora incompiuta e porti con se strascichi e problemi di complicata soluzione, come è chiaro che si sta giocando una partita a scacchi; si può dire che la partita a Wembley equivale alla mossa del cavallo, per rimanere alla metafora.

Nella stessa Gran Bretagna non mancano le perplessità, un sondaggio di YouGov condotto su oltre 3mila cittadini Uk, il 72% considera la Brexit ancora incompleta, mentre solo il 9% ritiene che il processo sia concluso e ancora, il 25% ritiene che stia andando bene, un altro 25% pensa che non stia andando né bene né male, il 38% ritiene invece che stia andando male.

Boris Johnson ha seri problemi interni che derivano dagli stessi accordi presi in sede Europea e prevalentemente di carattere commerciale; a cominciare dalla cosiddetta “guerra delle salsicce” tra Irlanda e Irlanda del nord e non solo per una questione di dazi ma anche di regole sanitarie.

Una querelle che si estende alla Francia assieme alla disputa sulle acque territoriali e di conseguenza alla libera pesca.

Il recente accordo sul “periodo di transizione e le condizioni di accesso alle acque e territoriali”, tra UE e Uk della durata di cinque anni, ha trovato il blocco navale di una ottantina di pescherecci francesi, decisamente contrari.

E ancora deve essere formalizzato l’accordo sulla lotta ai cambiamenti climatici assieme a quello della concorrenza tra imprese britanniche ed europee che include la questione dell’accesso automatico al mercato unico europeo per le società finanziarie con sede nel Regno Unito.

Fronte aperto anche con la Spagna sul tema Gibilterra, enclave inglese in terra iberica, dove circa 15mila lavoratori ogni giorno attraversano il confine.

Ideologie e ragioni di principio sono totalmente assenti da questi “tavoli”, sono solo interessi commerciali e dal momento che gli inglesi, storicamente, sono considerati i migliori mercanti del mondo è naturale che tendano a pagare il meno possibile i loro dazi e a massimizzare il più possibile i loro profitti.

Non c’è da stupirsi se “la mossa del cavallo” messa in atto da Draghi e la Merkel sia un primo segnale per i governanti di Sua Maestà, per dire che tutta la loro prosopopea non è più accettabile.

 
 
 
 
 
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150 150 Gianfranco Gatta
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