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She Rules: November Edition

Tempo di lettura: 5 min.

Beatrice Galeazzo

Oggi parte il format She Rules. Vi raccontiamo la storia di “ragazze guida” che rappresentano al meglio la nostra generazione. Conosciamo: Beatrice Galeazzo. Anni 22. Studentessa.

Raccontaci cosa fai e che cosa significa il tuo nick Instagram?

Mi sono laureata a luglio in Scienze della Comunicazione all’Università di Verona. L’ambiente lì lo ricordo opprimente, soffocante, ogni pensiero critico individuale nullificato. Sprofondare nei libri, abbandonare le proprie opinioni. È così che ho deciso di ascoltare le mie passioni più profonde, iniziando un master in Fashion Promotion e Communication a Milano presso l’Istituto Marangoni. Abitavo in una città troppo piccola per chi, come me, sente l’esigenza di esprimere sé stesso a pieno, una città dove l’ostentare velato da un gusto classico veste le persone che camminano per le vie, in una sfilata mascherata da un’aura di monotonia. Non che i giudizi mi abbiano mai ferita nel profondo; sento che a Milano l’estro che mi è da sempre appartenuto si è liberato dal sordido posto in cui è stato chiuso per anni. Su Instagram mi chiamo Trixiratropo. Ricordo che l’idea è nata uno di quei pomeriggi in aula studio, durante una delle tante pause. Sofia è una cara amica che storpia qualsiasi nome. Mi chiamava Trixi, Tricio, Triceratopo. Da lì ho unito i due nomi, Trixi e ho aggiunto una r al nome del dinosauro. (Mesi dopo mio fratello mi disse che in Toy Story 3 esiste un triceratopo che si chiama Trixie. Lavatricio era la seconda scelta per il nick).

Quanto la moda influisce nella tua vita?

La moda occupa da sempre un posto centrale nella mia vita e nella vita della mia famiglia. Tutto è nato da mio nonno e, poi, mio padre. Amo mio padre, come assieme amiamo visceralmente la moda. E’ grazie a lui che è cominciata la mia passione per l’accostamento di tessuti, colori e materiali, creare nuove geometrie che oltrepassino il classico marchio ricamato sulla maglietta, la scarpa abbinata alla borsa o l’abbinamento canonico. Promuovere l’ardito, il nuovo, il diverso. Mio padre è uno stilista. Per questo a casa non è raro trovare tessuti, prototipi, spilli, cartelle colori, manichini semi vestiti. Conoscere poi i retroscena del prodotto confezionato: file di macchine da cucire, manichini e serie di ferri da stiro, file di appendiabiti pronti per essere vestiti, oggetti per me sempre suggestionanti nonostante li abbia visti più e più volte. Dunque, se penso alla moda, penso a mio padre. Insieme hanno un peso ingente nella mia vita. Ancora oggi, a 22 anni, ho sempre bisogno del suo aiuto per comprare qualcosa, di un suo consiglio che possiede (purtroppo?) ancora un grosso potere sulle mie decisioni.

Dicci tre cose in e tre cose out secondo te.

Pensando a un qualcosa di out, il primo pensiero che improvvisamente risuona nella mia testa è una persona, nessuno in particolare. Racconto il genere: total look visto in vetrina, e-commerce, quant’altro e comprato. Out perché le “influencer” di oggi appoggiano questo format e sono seguite da mille mila adolescenti che sovente le imitano a tutto tondo. Mi turba sapere che coloro che, invece, creano qualcosa di nuovo e fresco, coloro che portano una boccata d’aria mai sentita, non abbiano lo stesso potere persuasivo. Out perché acquistando un total look creato da altri per “noi” si uccide la creatività che ci appartiene. Solo se hai una forte identità riesci a capire che non ti è necessario comprare pacchetti fatti da qualcuno per te, per lei, per tutti indistintamente. Moda è arte, è creatività, è accostare la giacca del nonno a qualcosa di più ricercato. Out per me sono i ripped jeans. Oltre che brutti li trovo inutili in qualsiasi stagione: d’inverno sono freddi, d’estate sono caldi, nelle stagioni di mezzo sono solo sgradevoli allo sguardo. Posiziono nell’out lo stile Pocahontas metropolitano: giacche, pantaloni, sandali con piume, lacci cadenti e perline. Ah, se posso aggiungere un quarto, disprezzo i colori pastello. Ciò che invece sto abbracciando sono le maniche over extra lunghe. Non avere le mani visibili mi affascina. Gli stilisti creano e propongono maxi maniche ma io che spesso vesto abiti da uomo sono nel pieno mood “no hands”. Amo i diversi volumi che si possono creare in un singolo capo. Per questo inserisco tra gli “in” le spalle imbottite anni ’80. In questo momento della mia vita metterei spalline imbottite ovunque. Recentemente ho acquistato un chiodo in pelle vintage con le spalle ovattate al limite dell’esagerato, un abito da uomo con spalla ovattata, oltre che aver razziato il guardaroba del nonno. Infine, sono felice che si stia diffondendo sempre più il “mix and match”, uno stile che io adoro. Mischiare e combinare texture, materiali e colori giocando e saltando tra epoche e culture diverse è quello che, a mio avviso, fa esprimere al meglio la personalità di ognuno. Ma, “siamo ricorsi al mix and match perché nel panorama mondiale nessuno ha creato qualcosa di così innovativo e stravolgente come fecero i grandi nomi della moda il secolo scorso?”. Io penso di sì.

Il capo dei tuoi sogni?

Non ho un capo dei miei sogni? Mi spiego, non essendo amante dei brand appartenenti al luxury, non ho mai desiderato nulla di irraggiungibile. I capolavori iconici dei grandi come il tubino nero, la Birkin di Hermès sono per me intramontabili, ma li vedo molto lontani dalla mia concezione di moda e per questo non li ho mai bramati. Sto apprezzando ed effettuando meticolose ricerche sui vintage store milanesi. Vivo qui da poco, non so ancora muovermi nei posti giusti.

Pensi di poter ispirare con i tuoi look? Cosa li rende unici?

Non penso di essere così influente da ispirare qualcuno, qualcuno che possa appoggiare in toto il mio outfit. Mi è capitato però che qualcuno mi scrivesse per chiedermi dove ho preso quei pantaloni piuttosto che quella collana. La cosa mi ha resa felice perché erano persone lontane dal mio mondo che hanno preso pezzi di un mio outfit per trasportarli nel loro immaginario. Frequentando una scuola di moda desidererei ispirare qualcuno tra i corridoi, come molti ragazzi ispirano me ogni giorno. Ci si guarda molto ma percepisco sguardi diversi rispetto a quelli della mia città, Padova. Sguardi interessati, incuriositi, partecipi, più che sguardi turpi. Quello che rende unici i miei outfit penso siano gli accostamenti più che i capi in sé. Compro vestiti ovunque: al mercato, in negozi di seconda mano. Vestiti da lavoro come i miei pantaloni da cuoco, brand streetwear o acquisto in negozi più di ricerca come Antonioli o Prima Pagina. Ecco, penso che questo insieme di stili, il mixare il cheap a qualcosa di più expensive sia ciò che mi contraddistingue di più. Non amo gli accessori, ho cinque anelli e due collane che indosso ogni giorno. Sono ormai diventati parte del mio essere.  

 

Credits Photography: Andrea Jean Varraud

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