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Se la festa fa schifo è colpa degli invitati: intervista a Not Good

Tempo di lettura: 3 min.

È uscito il mixtape del rapper Not Good, si chiama “Bella Festa Brutta Gente” ed è una densa analisi di come l’artista vede la società del 2024

Not Good classe 1997 è sorridente durante tutta l’intervista, sin dall’inizio. Forse è questa la chiave per raccontare un tessuto sociale problematico, affrontarlo con analisi e positività reazionaria.

Ecco cosa ci ha raccontato:

Partiamo dal mixtape “Bella Festa Brutta Gente”. È un disco molto denso.

Sono contento che tu l’abbia trovato denso. Nasce dall’esigenza di scrivere qualcosa che uscisse dal mio seminato e poi volevo dare un concept preciso. Mi sono scervellato parecchio e sono arrivato alla chiave di lettura: “Bella Festa Brutta Gente”, credo che sia perfettamente descrittivo della società in cui viviamo.

Sei stato schietto quindi?

Beh si, per me la festa, che poi è la vita, fa schifo solo per la gente. Tendiamo sempre a considerarci spettatori del mondo, ma siamo autori e possiamo contribuire a migliorarlo.

Per mondo intendi mondo musicale?

No, parlare solo di musica sarebbe riduttivo. La frase che apre il disco è proprio “Crolleranno case, finiranno amori, salteranno le varie democrazie”. Volevo che arrivasse subito il mio messaggio.

Parli anche di incertezza sul futuro nel disco.

Ho passato un paio d’anni in terapia perché soffrivo di eco ansia. Mi ha sempre affascinato l’incertezza sul futuro, ho voluto raccontare una disillusione generale, come quando ad una festa ti scende la serotonina, torni lucido e ti chiedi: “Ma io che ci sto a fare qua?”.

Ti capita spesso di sentirti così nella vita?

A volte ma non demonizzo questa paura, penso che tutta la nostra generazione abbia paura del futuro.

Nel mixtape parli anche di necessità di validazione.

È qualcosa che constato degli altri ma ha un effetto elastico, la vedo anche su di me. Un mio amico mi ha detto una volta “bella la tua musica eh, però rappi sempre i fatti tuoi!”. È vero la prima esigenza è sempre autobiografica.

La tua più grande paura?

Io ho sempre avuto grande attenzione alle tematiche sociali e ambientali. Ad oggi la mia più grande paura sono le cose che escono dal mio controllo. Sono stato responsabilizzato molto presto, anche in famiglia. Quindi questo mi spaventa.

E poi?

Io del domani temo tutto. Basta vedere il mondo fuori, mi sembra normale avere paura.

E poi ho paura anche di che fine farà la mia macchina mentre chiacchieriamo. L’ho parcheggiata sulle linee gialle e non sono residente.

Ride – ndr. Ultimamente soffro anche l’indifferenza del mondo. Chi cerca di fare la differenza appare sempre come un coglione, io sono un romantico credo nel cambiamento.

Quando vedi indifferenza?

È brutto generalizzare ma sempre. Apro Instagram e lo stesso profilo posta prima contenuti contro le guerre e poi magari un’adv per un brand di occhiali.

E nel panorama musicale come siamo messi?

La musica è uno specchio della società. Siamo tutti coinvolti e tutti uguali. Poi ci sono anche delle note positive, per carità. Per esempio il rap sta diventando sempre meno sessista rispetto alla sua origine.

Cosa vuoi fare che non hai ancora fatto?

Io amo sperimentare. Discograficamente parlando è contro producente perché non ci si costruisce la propria nicchia, ma a me non me ne frega nulla.

Si rimane facilmente in piedi?

Si rimane difficilmente in piedi in ogni ambito oggi.

Qual è l’impedimento maggiore?

Per me mantenere un equilibrio tra quello che vuole il mercato e quello che vorrei fare io come artista.

I tuo motto?

“Nella vita farei di tutto per non lavorare, compreso lavorare”.

Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios
2560 1440 Fabiola Graziosi
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