Dai tecnicismi all’“itanglese” il passo è breve
Mi sono resa conto di fare fatica a pronunciare più di due frasi di seguito senza utilizzare almeno una parola in inglese. Di scrivere mail prediligendo anglicismi a corrispettivi italiani perfettamente comprensibili. Di discutere di lavoro e addirittura spesso di parlare con amici scegliendo comunque ormai affezionati termini “per darmi un tono”.
Se il problema fosse solo mio, cercherei di ovviare senza ricorrere a un mezzo di divulgazione per allarmare qualcuno. Però, una superficiale ricerca in rete è bastata a intuire che al momento l’italiano inglesizzato è una preoccupazione piuttosto diffusa.
Se all’inizio degli anni ’70 gli anglicismi erano meno dell’1% e meno del 2% nel 2016, oggi quasi tocchiamo il 3%. Boom, poi, dall’inizio del 2020 con la pandemia. 3% pare poco ma in realtà sono moltissime le parole straniere che si sostituiscono alle italiane e che nel loro utilizzo in alcuni settori sono ormai irrinunciabili.
È sempre più concreto il rischio che l’italiano in un futuro prossimo venga declassato a lingua dialettale e noi contribuiamo alla sua inconsapevole disfatta.
Non voglio certamente ergermi a pioniera di niente ma il palese servilismo che ci porta a dare pronuncia inglese a sostantivi di origine latina è piuttosto allarmante (virus —> vairus). Se penso a me, le parole di origine non italiana che uso giornalmente sono tante: server, landing page, talent, concept, goal, social, trend, lockdown, women empowerment, body shaming, solo alcune di quelle che mi vengono in mente.
Ma qual è il motore che genera questa tendenza?
Alcuni parlano di sudditanza, altri di tentativo di ringiovanire una lingua da svecchiare, altri ancora di patologia anti-italiana, sta di fatto che nel parlato quotidiano l’“anglobalizzazione” è sempre più percepibile e forse questo è uno dei cambiamenti che dovrebbe preoccuparci maggiormente.
Io credo si tratti in sostanza di due fattori fondamentali: necessità di sentirsi inglobati in un contesto più grande, più ligio, più potente e volontà di stare al passo con le istituzioni che degli anglicismi ne sono diventate le prime sostenitrici.
Siamo pronti a perdere terreno in un settore tra i nostri principali vanti? La sfida parte dal nostro piccolo: parlare per non scomparire.