Il primo mistero: la via di fuga
Esistono eventi che passano alla storia per la potenza del loro significato, altri per la grandezza dei personaggi coinvolti e altri ancora perché non sono mai raccontati abbastanza volte.
Quando si parla del rapimento Moro con persone che quei momenti lì li hanno vissuti da vicino, non è difficile capire quanto abbiano impattato sulle loro vite. I giovani di oggi, dunque, la generazione Z non può pensare di crescere ignorando uno degli eventi storici più massicci degli ultimi 50 anni. Partiamo, quindi, da una serie di misteri che ancora oggi avvolgono la vicenda.
Il primo grande interrogativo sulla dinamica del rapimento del presidente Aldo Moro riguarda la via di fuga, elemento fondamentale di ogni piano criminoso. A tutt’oggi questo elemento è sconosciuto, vuoi per mancanza di testimoni, vuoi per accertati depistaggi da parte di servizi deviati (vedi P2).
Le varie inchieste, attraverso nuove presunte rivelazioni, collocano sul luogo della strage nuovi soggetti: componenti del commando, spie straniere, motociclisti di vedetta, soggetti vestiti da pilota di aerei, mafiosi che fumano e osservano la strage; mai nessuna rivelazione oculare sulla via di fuga, mai nessuna ipotesi, mai un’indiscrezione da parte di reo confessi pentiti, dissociati o irriducibili.
Mai una domanda da parte di tutta quella stampa, cartacea e televisiva, che negli anni si è occupata dell’Affare Moro. Eppure un’indagine che si rispetti dovrebbe partire proprio da questo elemento.
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Bisogna conoscere Roma e in particolare la zona in questione per poter formulare delle ipotesi. Monte Mario (la zona) ha una sua storia secolare come Trastevere, Borgo o Monti ma poco conosciuta in quanto residenza dei nobili antichi romani e il suo nome deriva dal dittatore Caio Mario; acquisisce una sua importanza nel periodo della seconda guerra, diventando uno dei centri strategici della resistenza romana: i primi due fucilati della resistenza, a Roma, appartenevano alla colonna di Monte Mario.
Fino allora era prevalentemente zona di vigne e di pascolo. Si sviluppa nel dopoguerra con la più sconsiderata speculazione urbanistica, con rioni popolari come Primavalle e Boccea promiscui ai rioni della nuova borghesia come Balduina, Cortina D’Ampezzo e Camilluccia.
Negli anni ’70 Monte Mario è stato un punto nevralgico per la colonna romana delle BR e non solo nelle zone più popolari, così come è stato un punto nevralgico per i Neri non solo nelle zone più borghesi. È la famosa promiscuità romana! Il monumento a Walter Rossi, sito nell’omonima Piazza, lo si deve considerare come la testimonianza della mattanza di una generazione ad opera di un’occulta “operazione criminale”.
Per formulare delle ipotesi di fuga bisogna sapere che da quell’incrocio, Via Fani con via Stresa, si poteva andare solo in tre direzioni: 1) svoltare a destra. 2) svoltare a sinistra. 3) tornare indietro. Una quarta è improbabile perché tirare dritto per Via Fani, a quei tempi, non avrebbe portato da nessuna parte, dal momento che la strada si chiudeva dopo poche decine di metri.
Svoltare a destra significava dirigersi verso Via della Camilluccia, via preferita da molte ambasciate, scendere fino Piazza Giochi Delfici per poi immettersi sulla Cassia (Via Gradoli) oppure svoltare per Via Paredo e raggiungere la Flaminia, da lì il Raccordo Anulare. (lago della Duchessa).
Svoltare a sinistra avrebbe comportato risalire via Stresa per prendere la Trionfale all’altezza di Piazza Monte Gaudio, per poter raggiungere la Cassia in direzione Bracciano o Viterbo; oppure imboccare Via Pineta Sacchetti per poi attraversare Primavallle, tramite Via Mattia Battistini e raggiungere l’Aurelia, (verso il mare) dopo aver percorso Via dell’Acqua Fredda.
Queste due soluzioni portano a strade statali nella direzione in uscita da Roma, quindi con un traffico limitato e scorrevole al contrario del traffico in entrata, caotico e congestionato.
Tornare indietro, cioè risalire Via Fani è la meno probabile delle ipotesi. Una volta arrivati sulla Trionfale si sarebbe girato a sinistra verso il centro della città (a destra non avrebbe avuto senso visto che era più immediata la risalita per Via Stresa) in pieno traffico per l’apertura delle scuole (alla Balduina) e degli uffici. Vero è che in centro si trovano Via delle Botteghe Oscure e soprattutto Palazzo Caetani, di fronte al quale è stata ritrovata la Renault rossa con dentro il cadavere di Aldo Moro, nell’omonima via.
In mancanza di testimonianze questi sono tutti gli elementi incontrovertibili a disposizione ed è ragionevole pensare che tra questi uno sia la chiave per arrivare alla soluzione del caso Moro, del quale a tutt’oggi si conosce poco o nulla.
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I tanti fatti, tutte le ricostruzioni e la cronologia degli eventi non sono altro che schegge di ciò che è realmente accaduto ma ricostruiscono comunque un “mobile falso”. L’abilità sta nel non porre le domande giuste.
Ripartiamo dalla via di fuga: i presunti covi delle BR a Via Massimi. La stessa Adriana Faranda, RaiTre, dice di non conoscere la destinazione e il luogo di detenzione di Moro. Lei si ferma al presunto cambio auto del prigioniero, avvenuto a Piazza Madonna del Cenacolo, Zona Balduina. Secondo questa versione le auto da Via Fani avrebbero svoltato a sinistra per Via Stresa, strada in salita, stretta e piena di curve per sbucare a Piazza Monte Gaudio, scendere per Via Trionfale ripassare davanti a Via Fani e proseguire, giungendo infine alla Balduina.
Un genio come nemmeno Leonida alle Termopili! E se questi presunti covi di Via Massimi fossero realmente esistiti, perché proseguire per altri ottocento metri per cambiare auto a Piazza Madonna del Cenacolo? Sempre parlando di covi: l’appartamento di Via Montalcini, quartiere popolare Portuense, sembra che sia stato acquistato e poi rivenduto alla stessa cifra, cinquanta milioni.
Per acquistare un appartamento simile soprattutto a Via Massimi, la più prestigiosa di una zona già costosa di suo, sarebbero serviti almeno trecento milioni. Che poi la famiglia di qualche brigatista della buona borghesia, vivesse in Via Massimi è possibile ma un covo è un’altra cosa.
Ancora una volta, dopo più di quaranta anni, nessuno pone la domanda diretta ai diretti responsabili: “Qual è stata la vostra via di fuga e dove avete portato realmente Moro?”. Si segue in maniera pedissequa un copione già scritto da altri e le domande poste servono a rafforzare la messa in scena, come nel caso del cambio d’auto a Piazza Madonna del Cenacolo.
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La logica, per chi conosce molto bene la zona, vuole che Moro sia stato “parcheggiato” a poche centinaia di metri da Via Fani e nei giorni successivi spostato su un’auto sicura, come ad esempio un auto blu con targa CD; oppure l’effettivo cambio d’auto, come da manuale di un piano di fuga è avvenuto in un luogo, innanzitutto coperto, ben lontano dalla sceneggiata messa in piedi alla Balduina, in una piazza con il traffico delle nove, davanti un asilo di suore, con capannelli sparsi di mamme in attesa di andare a fare la spesa.