Mentre l’Istat disegna un’Italia a tinte fosche, la narrazione di stampa e tv spinge senza ritegno sui tasti della drammatizzazione ossessiva e del voyerismo. Chi paga il conto? Sempre gli stessi: i giovani
“La bellezza salverà il mondo”, diceva Dostoevskij ma a leggere l’ultimo rapporto recensito dall’Istat (21 Aprile 2022) non c’è da esserne sicuri: l’Italia è un paese triste dove e’ aumentato il divario sociale, che incide anche sulla speranza di vita alla nascita. In piena crisi nera la cultura, settore che ha perso 55mila occupati in due anni; il benessere cresce, ma senza equità e cosa ancor più grave, raddoppiano gli adolescenti che dicono di essere insoddisfatti della vita.
“Gli stessi fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi, che negli ultimi mesi hanno occupato le cronache, sono manifestazioni estreme di una sofferenza e di una irrequietezza diffuse e forse non transitorie”, dichiara il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, nella presentazione del rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile.
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Ad aggravare la situazione italiana è l’aspetto statistico sullo stato demografico, con previsioni catastrofiche per i prossimi quindici anni: dagli attuali sessanta milioni di abitanti passeremo a circa quarantasette milioni e mezzo nel 2070.
In questo tessuto sociale che pare destinato ad un lento cupio dissolvi, la narrativa declamata dall’Informazione è tutta volta, col compiacimento egocentrico di conduttori e opinionisti, verso l’esaltazione della tragedia come nemmeno i cantori greci del teatro ateniese.
Pandemia, guerra, infiniti casi di cronaca nera assurgono al ruolo di mythos senza alcuna dignità letteraria e sociale, ma reiterati all’infinito fino da assumere una narrazione ai limiti della più volgare pornografia.
Si è passati dai virologi che sulla pandemia hanno detto tutto e il suo contrario, ai generali che sulla guerra anticipano scenari da conflitto nucleare, come stessero prendendo un te in un salotto privato, in compagnia di signore colte da brividi. Una continua e persistente drammatizzazione che non tiene conto della destabilizzazione psicologica dello spettatore e di riflesso sulla popolazione.
Lo sciacallaggio con cui vengono trattati i casi di cronaca da tutti i programmi del mattino e del pomeriggio in TV, a cominciare dalla piccola Denise Pipitone per finire con l’assurda vicenda della preside del liceo Montale, trattata come una mantide senza alcun fondamento, ha quel sapore acre e stantio del voyerismo della più gretta provincia.
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Non che la stampa sia da meno anzi, funge da start per il megafono televisivo, come nel caso dell’Epatite acuta, l’Oms: “169 casi nel mondo, un bimbo morto: approfondimenti sull’adenovirus come causa”.
Ecco servita una nuova crisi isterica collettiva!
Dove sia finito lo spirito critico degli intellettuali non è dato a sapere, dal momento che è comodo a tutti allinearsi al pensiero unico del politicamente corretto, salvo poi dividersi ideologicamente su qualsiasi minchiata priva di senso come le mascherine, il green pass fino alla distinzione tra libertà e resistenza.
In occasione del 25 Aprile, data che celebra la liberazione dal nazifascismo, il “fine intellettuale” Giampiero Mughini scrive a Dagospia tutto il suo sdegno per le parole udite in occasione delle celebrazioni. Intanto asserisce che di fascismo “non c’è più l’ombra” e vivendo nel suo piccolo mondo antico c’è da credergli!
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Poi si scaglia contro il nesso resistenza e liberazione, trattando la resistenza italiana e in particolare quella romana come una accolita di giovani marmotte di disneyana memoria; per lui la guerra l’hanno vinta solo gli americani e non ha il cuore di raccontare che la Russia ha lasciato sul campo 20milioni di morti. Lo tradisce anche il ricordo che Mussolini fu arrestato, nella sua fuga verso la Svizzera, in quel di Dongo, dai partigiani della 52a Brigata Garibaldi.
Come è facile scambiare la Storia per retorica!
IMAGES: Photo by mauro mora on Unsplash