Se digito su Google “sport strumento educativo”, i primi dei molti risultati simili che mi escono sono due articoli dal titolo “Educazione e sport: un connubio inscindibile” e “Lo sport inteso come strumento educativo e sociale”. È così?
Quando leggo “Educazione e sport: un connubio inscindibile”, mi viene un po’ da sorridere e scuotere la testa.
Mi viene da ridere perché solamente quest’ultima settimana dei tifosi allo stadio di Genova hanno intonato un coro non esattamente “goliardico” verso una ragazza che stava tosando il campo dello stadio gridandole “te la rasiamo noi” come fosse un gioco, mentre negli Stati Uniti la pluricampionessa olimpica Simone Biles sta denunciando, insieme ad altre ginnaste, le molestie subite da lei e altre 500 atlete dal medico Larry Nassar, accusando anche il Comitato Olimpico, la Federazione Americana e persino l’FBI per aver cercato di insabbiare le violenze, diventandone quindi complici.
Parallelamente a tutto questo, solo lunedì 13 settembre in Italia sono stati commessi due femminicidi.
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Se agli occhi di qualcuno questi episodi sembrerebbero tre avvenimenti completamente diversi fra loro, ai miei purtroppo risultano facilmente legati da un filo terrificante che fa sì che l’uno sia la conseguenza dell’altro, come un climax: si inizia scherzando come un gioco (tanto “sono solo parole”, tanto “tutti ridevano”, giusto?), spesso succede che il “gioco” si trasformi in violenza vera e propria fino ai casi più estremi in cui la vittima viene uccisa.
Ditemi pure che sono esagerata, ma sono tutte cose che abbiamo già visto, l’incipit di una storia che si ripete.
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È stato un mix di stupore, nervoso, rabbia, ma anche meraviglia quello che ho provato nel leggere alcuni commenti sotto il post di Cathy La Torre (@avvocathy su Instagram) riguardo il coro pre-partita Genoa-Inter.
In poche parole, dicono, se l’intenzione era quella di far ridere e la ragazza in questione sorrideva e non diceva niente, allora perché scatenare una polemica inutile, tanto si sa come sono i cori da stadio.
Letto fra le righe, il messaggio che passa è quello che il coro è giustificato perché sono tifosi in curva allo stadio (si sa come è la gente allo stadio), quindi non solo non bisogna fare polemiche, ma forse bisognava anche aspettarselo.
Agghiacciante.
E più agghiacciante ancora è chi commenta scrivendo di “piantarla” perché la ragazza in fin dei conti rideva e sembrava divertita. Come se sapesse cosa si prova nell’avere una folla cantare divertita sulle proprie parti intime durante il lavoro.
Forse la ragazza che tagliava l’erba era davvero divertita, oppure stava mascherando l’imbarazzo e la vergogna. Probabilmente continuerà a fare il suo lavoro e magari ricapiterà un altro episodio del genere: non sarà mica un coro “goliardico” di persone che si sa, sono allo stadio e si divertono, a fermarla.
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Anche Simone Biles ha continuato a gareggiare dopo le prime battute, diventate poi molestie, ma anche dopo le “timide” accuse nel 2018, finché questa estate, a soli 24 anni e una carriera d’oro di fronte a lei, ha deciso di ritirarsi dalle Olimpiadi di Tokyo. Un gesto “estremo” per fare finalmente rumore dopo le prime accuse nel 2015 verso lo stesso medico da parte della compagna Mckayla Maroney. Perché è Simone che oggi si è fermata, non Nassar di cui ai tempi l’Fbi aveva archiviato il fascicolo.
Ecco che se lo sport fosse davvero un mezzo educativo e sociale, allora episodi come questi non devono essere giustificati, nascosti e lasciati indifferentemente passare.
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In Italia gli abusi nel mondo dello sport sono ancora un tabù: non se ne parla, non si fa notizia. Eppure secondo Daniela Simonetti, giornalista che ha fondato nel 2019 la prima associazione italiana contro gli abusi sessuali nello sport, i casi sarebbero più di 300, lo racconta nel libro “Impunità di Gregge” pubblicato a inizio 2021. Le vittime? Ragazzi e ragazze che praticano prevalentemente calcio e pallavolo, senza escludere gli altri sport.
Accuse che riguardano gli stessi sport, gli stessi allenatori, le stesse associazioni e federazioni che si impegnano a combattere la violenza contro le donne e che appoggiano campagne per sensibilizzare di molestie e abusi.
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E quindi, ricollegandoci all’episodio dello stadio Ferraris a Genova, mi chiedo che senso abbia fare scendere in campo campioni come Totti, De Rossi e Marchisio, idoli di molti ragazzi, in un’amichevole dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne (era Maggio 2021) se poi la vicenda di domenica si giustifica con “era solo un coro goliardico, si sa come sono i tifosi in curva”.
Mi chiedo che senso abbia giocare una partita con un segno rosso sulla guancia per sensibilizzare il pubblico, prevalentemente maschile, e combattere la violenza verso le donne, se poi tutto si chiude con “anche la ragazza sorrideva e sembrava divertita”.
Seppur risulti denigrante e offensivo, quello che si condanna maggiormente non è tanto l’episodio in sé, effettivamente è un becero coro da stadio fine a se stesso che non sfocia in niente di fisico, ma l’atteggiamento con cui si sminuisce e si giustifica tutto questo come se fosse dovuto.
A volte una semplice scusa o un mea culpa non sono abbastanza, ma sono di sicuro qualcosa.