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Lettera da un aspirante giornalista del XXI secolo

Tempo di lettura: 3 min.

Un giovane nel 2023 dovrebbe ancora sognare di fare il giornalista?

Perché vuoi fare il giornalista? Sembrerà strano ma è una domanda la cui risposta non è così semplice da dare; è un quesito su cui non si è abituati a riflettere. Questione probabilmente di forma: l’argomento non è mai affrontato in termini schietti, è sempre accompagnato da un misto di stupore e minimizzazione, racchiusi in un ungarettiano scambio di battute che si ripete, come il giorno della marmotta, a ogni nuova conoscenza:

“Cosa ti piacerebbe fare?”

“Mi piacerebbe lavorare nel giornalismo.”

“Ah… bello! Però…”

 
 
 
 
 
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Il seguito della risposta lo impari a memoria. “Però non si campa di quello, vero?”Però è difficile entrare in quel settore.”Però ormai nessuno legge più i giornali.” “Però ti sfruttano tantissimo.” A questo aggiungiamoci un certo fastidio per la categoria, che ha portato a farla entrare nell’albo delle professioni più odiate: pennivendoli al servizio dei Poteri Forti, pronti a distorcere la realtà delle cose, piegati al mainstream e altre balle del genere.

Fino a qui una botta di ottimismo, vero? Non voglio affrontare questi aspetti, che indubbiamente esistono ma che non riguardano tutte le realtà editoriali (e anche il protocollo delle buone maniere ce lo siamo tolto): ho sufficiente tempo, ogni giorno, per pensarci e tormentarmi con gli interrogativi sul futuro. Proverò a parlare, da inguaribile romantico, di cosa mi affascina e spinge a proseguire su questa strada.

 
 
 
 
 
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C’è sicuramente una componente di fascinazione per il cronista, figura che sfiora il mito: un certo grado di trasandatezza dovuto all’essere sempre in viaggio, opposta e complementare al rigore e alla compostezza, di modi e parole, dei mezzibusti del telegiornale.

Creature sempre vigili, attente al dettaglio, che padroneggiano le parole e sanno soppesarle, adattandole a ogni contesto ed esigenza. Di loro mi ha sempre stregato la tendenza alla non semplificazione, al ragionamento articolato, al periodo lungo: merce rara in un ambiente che sta diventando ancora più veloce, predato del titolo clickbait.

Stupito dalla loro capacità di conoscere a fondo ogni aspetto della vicenda raccontata, ho capito, toccando con mano il lavoro, che dietro alle due-tremila battute di un articolo si nascondono ore di ricerca e approfondimento. Altro che tuttologia…

 
 
 
 
 
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Percepisco questa professione come il naturale prolungamento in età adulta della fase dei perché: si dice che inizi a tre anni e possa andare avanti fino a sette-otto; probabilmente mi

sono avvicinato a questo mestiere perché non l’ho mai superata e non intendo farlo. L’incertezza di cosa capiterà domani, quale ambito andare a indagare, rappresenta un continuo stimolo per un curioso, obbligato a non sottovalutare nessuna notizia.

Quest’ultimo aspetto dà un senso a un’ossessione del sottoscritto: il voler essere sempre informato su ciò che capita nel mondo, una declinazione di FOMO (Fear Of Missing Out) che mi porta al controllo continuo delle pagine web dei quotidiani, all’ascolto dei telegiornali e, in questi ultimi anni, allo scrolling degli account social delle redazioni.

Enrico Mentana, intervistato a Cachemire Podcast, ha affermato di comportarsi in un modo simile: grazie Mr. Maratona, mi fai sentire meno anormale. A cosa serve questo? Apparentemente appaga solo il proprio cervello, in realtà è una miniera di informazioni da utilizzare per articoli futuri.

 
 
 
 
 
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Il voler diventare giornalista è anche figlio della passione per le storie, per il racconto degli eventi: a un certo punto non basta più leggerle, vuoi risalire il flusso della narrazione fino alla fonte diretta: è un po’ come se si avesse la possibilità di parlare con il protagonista del proprio libro preferito e di chiedergli perchè hai fatto questa cosa? C’è una fortissima componente empatica nello scrivere: intervistare qualcuno, per esempio, non è solo un freddo interrogatorio, un asettico botta e risposta; si crea un legame con le persone, con ciò che fanno e con le loro esperienze. Credo sia inevitabile, per fortuna.

Fino a qui, sembra che abbia dipinto chi si avvicina a questa professione come un essere mosso solo dai migliori propositi, costituito unicamente da principi altissimi. Forse sarò l’unico, ma non nascondo che ci sia anche una parte di appagamento d’egocentrismo: un piacere quasi fisico al veder comparire il proprio nome al fondo di un articolo. Come il primo bacio, la prima volta resta indimenticabile; come per le grandi passioni, non passa (e spero non passi) mai.

 

 

Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios

2560 1440 Federico Ingemi
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