Privacy please!
TikTok è il social network che viaggia più veloce e selvaggio di tutti, come i cowboys alla conquista del vecchio Far West. Gli algoritmi cambiano di giorno in giorno, diventando sempre più sofisticati e pronti a regalarci contenuti confezionati ad hoc di cui non sapevamo di avere bisogno, pronti a riempire i nostri tempi morti sui mezzi pubblici, in coda ai camerini, la sera davanti alla pubblicità dei programmi a reti unificate.
Un social network giovane e in costante evoluzione, proprio come la maggior parte dei suoi users, per la stragrande maggioranza una Gen Z che cavalca l’onda della novità, e una neonata Gen Alpha (nati dal 2010 in poi), che chiude e riapre il cerchio in maniera rinfrescante e inquietante al contempo.
Dopo centinaia di piccole e grandi notizie di cronaca, sfociata pericolosamente nel nero, di ragazzini che si sono ritrovati vittime di bullismo, di atti autolesionisti, o che hanno tristemente perso la vita per dinamiche legate all’utilizzo di TikTok, il social network made in China ha deciso di adottare una serie di politiche restrittive che proteggano i minori.
Una manciata di giorni fa, la big company ha comunicato che aderirà alla Technology Coalition, un’organizzazione che lavora per proteggere i minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali online.
Gli utenti minorenni, dai 13 ai 17 anni, avranno automaticamente un profilo privato, e quelli minori di 16 non potranno accedere alla modalità di messaggistica diretta, un’opzione simile ai DM di Instagram che vige anche su TikTok, dove ci si può mandare tantissimi video e aprire conversazioni infinite.
Ho avuto la (s)fortuna di far parte di una generazione ibrida, la prima e anche l’ultima che è cresciuta imparando a leggere e scrivere con (tanta) carta e penna, che usava le videocassette per guardare i cartoni e ascoltava la musica dallo stereo di casa, e che si è approcciata al mondo degli smartphone soltanto da adolescente. Sempre in bilico fra analogico e digitale, io, classe ’98, non mi ritrovo nella frenesia 24/7 dell’uso smodato dei social come mezzo d’espressione uno e trino, insostituibile e necessario.
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Ma moltissimi ragazzi, soprattutto quelli molto più giovani di me, sono cresciuti con gli iPhone e gli iPad all’ordine del giorno, affascinati dagli schermi blu in cui si materializzavano mondi diversissimi, mischiati ai loro volti in milioni di pixel.
Mi piace vedere come i preadolescenti di oggi si esprimano con tanta spontaneità e un pizzico di sana teatralità su TikTok: i balletti divertenti, le canzoni catchy, i filtri spiritosi… sono irresistibili, facili da usare, e un ottimo punto di partenza per creare un sacco di cose diverse.
Ma proprio perchè i ragazzini godono di un’ingenuità delicata e senza giudizio, devono essere protetti da un mondo feroce, malizioso e opportunista di utenti più grandi (e anche più piccoli, i bambini sanno avere un’onestà spietata).
Credo che sia giusto privatizzare i canali dei giovanissimi, è un modo per tutelarli da sguardi e commenti indiscreti (un eufemismo), e anche per educarli gradualmente ad un uso consapevole dei social, dove tutto può essere facilmente travisato perchè gode di una malleabilità rara.
È giusto che quell’ universo visivo e mentale così fluido, altalenante, in continua tensione, che è quello dell’adolescenza, rimanga segreto e aperto solo a chi si decide di far entrare.
Certo, i giovanissimi potrebbero accettare chiunque richieda il follow, e trovare commenti indiscreti sotto ai loro post. Si tratta di un piccolo passo nel Wild West dei social media, ma è sempre un passo avanti. Più privacy per tutti, il vero lusso da concedere ai giovani user digitale (e che dovrebbero concedersi tutti).