Valeria Ancione, giornalista del Corriere dello Sport e scrittrice*, regala ad Acrimònia il suo racconto della notte in cui le donne del calcio hanno riempito lo stadio Olimpico di Roma, facendo cadere un altro paletto. Finito il tempo degli insulti e degli sfottò, il movimento femminile ha fatto un salto di qualità in fatto di tecnica e spettacolo. Valeria ci spiega come. E perché
Il 21 marzo, giorno di Primavera, di rinascita e fioritura, sul prato dello stadio Olimpico di Roma, tempio del calcio e dell’atletica, ma anche del rugby e di epici concerti, è sbocciata una speranza. In una notte realmente magica si sono giocati i quarti di finale di Champions di calcio tra Roma e Barcellona: in campo però c’erano donne. E non è un’invenzione e neanche un’isola che non c’è, è tutto vero e lo testimoniano i numeri: 39.454, record storico di paganti per un match di calcio femminile.
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Trentanovemilaquattrocentocinq
Dietro a quella parola di cifre, lunga come una vita passata in attesa di avere ragione, c’è anche che ai club professionistici la Uefa ha imposto la costruzione del settore femminile: Fiorentina e Lazio sono state le prime a rispondere proprio nel 2015, una in serie A, l’altra in serie B, poi alla spicciolata gli altri big-club, ma non tutti. Il Napoli per esempio resiste ancora alla tentazione. Potrà permettersi da campione d’Italia di non avere la squadra femminile in A e perché no in Champions?
Il 2015 quindi è l’anno di rottura, lo spartiacque tra il prima e il dopo. Rispetto per le donne, professionismo (ottenuto lo scorso anno solo però per le calciatrici di serie A), parità di diritti, paroloni, pretese che sembravano fantasia se non favole e invece è diventato tutto vero. Tanto che finalmente da un po’ si inizia a declinare al femminile la difensora e la portiera (suonano male? e vabbè ci abitueremo, ci vuole orecchio diceva Jannacci, avanti tutta anche con l’arbitra), perché una giusta declinazione vale più di un asterisco che la Crusca boccia senza appello.
In quella lunghissima parola ci mettiamo anche i diecimila del Franchi del 2017, partita scudetto Fiorentina-Tavagnacco, che fecero tanta impressione, era la prima volta nella serie A femminile moderna, perché – si sappia – le donne in Italia a calcio ci giocano da quasi un secolo.
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E ancora, dietro a quella parola lunga quasi quarantamila spettatori ci sono il ritorno dopo vent’anni della Nazionale ai Mondiali, nel 2019, guidata da una donna, Milena Bertolini, dopo la deludente conduzione del bell’Antonio Cabrini, la conquista dei quarti come fosse una vittoria, la consacrazione del calcio femminile in Italia. E ancora la sorpresa o lo stupore, wow sono pure belle, perché nei pregiudizi e negli stereotipi le ragazze del pallone hanno le cosce grosse, sono mascoline per non dire tutte lesbiche. Invece guarda un po’, non sono “calciatori donne”, sono donne che giocano a calcio, calciatrici, mettono lo smalto e hanno anche la “pretesa” di fare figli.
Il professionismo serve pure a questo, a tutelare la maternità. Perché fino a ieri se una donna restava incinta andava fuori rosa, e il “problema” era suo. E’ arrivata anche la tv a fare la differenza, ma nei giornali lo spazio resta modesto e regionale, diciamo q.b. come il sale, quanto basta o all’occasione, “a evento”, anche se evidentemente l’ultimo, che evento era e per sempre sarà in una parola “lapartitadell’Olimpico”, non è stato considerato come fenomeno sociale degno di spazi nei grandi giornali.
In quella parola lunghissima non ci sono solo numeri, ma il racconto di un cammino “in progress” tanto per dirla internazionale. I 39.454 dell’Olimpico fanno sorridere davanti ai 90.000 del Camp Nou per il derby di Champions Barcellona-Real
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All’Olimpico il tifo giallorosso, seppur a singhiozzo e non continuo come per i maschi, ha fatto la differenza, nel senso che ha colmato il vuoto, semmai si fosse sentito, di 20-25 mila assenti (la Roma di Mou in sold out fa 60-62 mila). Se è troppo bello per essere vero lo vedremo. La favola raccontata in questi otto anni, culminata in quel numero, 39.454, dovrebbe finire con le donne di serie A che giocano prima degli uomini davanti a spalti pieni, in giornate da passare dentro a stadi di proprietà che diventano case del sabato e della domenica, dove si gode dello spettacolo e si sta in pace e armonia, famiglie con figli piccoli, amanti, amici, fratelli.
Questo c’è anche stato nella notte magica dell’Olimpico, gioia e fratellanza, niente tifo violento, insulti, razzismo e omofobia, solo amore per il calcio. Mio figlio, tifoso di Curva Sud, alla fine della partita ha sospirato “molto brave, sono orgoglioso”, e lì ho pensato che anche un romanista di questi tempi può essere felice guardando la Roma.
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Il 21 marzo 2023 è stato il giorno di un nuovo inizio, non un traguardo ma un punto di partenza, come si dice del professionismo. Il primo giorno di Primavera è sbocciata una speranza durante una partita di calcio, un calcio a colori, non chiamatelo rosa per cortesia, annaffiamola questa speranza affinché cresca. Dopotutto indietro non si torna.