Il caso del “Porca Puttena” di Lino Banfi e la segnalazione da parte del MOGI: dov’è finito il buon gusto? E dove sta la vera volgarità nelle pubblicità?
La notizia è che il MOIGE, Movimento Italiano Genitori che agisce per la protezione e la sicurezza dei bambini, arriva con ben quaranta anni di ritardo nel segnalare all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e al Comitato TV Minori “lo scandaloso Porca Puttena” che Lino Banfi, il “nonno d’Italia”, pronuncia in uno spot televisivo. In ritardo perché quella locuzione è da quaranta anni, appunto, il marchio di fabbrica del comico pugliese. La Onlus motiva la denuncia dopo “un abbondante volume di segnalazione da parte di genitori e famiglie“; quelle stesse famiglie e genitori che con le loro risate hanno fatto, per decenni, la fortuna di un certo cinema grottesco e “scoreggione”.
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Banfi a inizi carriera veniva bloccato dalla portineria della Rai, a Viale Mazzini, per ordine di Massimo Fichera, allora direttore di una neonata Rai Due innovativa e rivolta ai giovani; non lo riteneva adatto. Ha avuto in carriera facile successo con film semplici, smaccatamente pruriginosi, interpretando sempre la stessa macchietta, all’insegna del suo porca puttena.
Si è rifatto una verginità artistica grazie a Nonno Libero, per la serie di “Un medico in famiglia”, soap opera di Rai Uno di grande successo. Il suo marchio di fabbrica è entrato nella narrazione del Campionato Europeo di calcio, vinto dall’Italia, grazie a Chiellini che lo ha gridato ai “quattro venti” davanti alle telecamere di tutto il mondo.
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La battuta volgare, la parolaccia, il peto come il rutto sono mezzi “facili” che tirano la risata semplice, senza tante elucubrazioni mentali, ma che lasciano ben poco nella storia dello spettacolo. Ma per ridere senza una facile volgarità non bisogna essere per forza Woody Allen, prendete un film come “I soliti ignoti”, regia di Mario Monicelli 1958, dove si ride dall’inizio alla fine e non viene pronunciata nemmeno una parolaccia, ancora oggi quando è trasmesso da qualche emittente fa il pieno d’ascolti, prendendo tutte le generazioni.
C’è un’eccezione che ha una sua dignità culturale che è “Il Vernacoliere”, mensile di satira, da considerarsi per i livornesi quel che il Belli è per i romani. Le malaparole sono l’uso corrente derivante dall’atavica guerra tra i comuni toscani, in special modo tra Pisa e Livorno; nel tempo la guerra si è spostata dalle armi alla satira, con i suoi pungenti sfottò. Come dice Mario Cardinali, direttore del mensile: “Sapeste quanto ho dovuto studiare per poter dire bene tutte queste volgarità.” C’è da credergli.
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I creativi della Pubblicità, si sa, prendono spunto dai fenomeni della realtà. Quale spunto sia stato quello per cui un marchio di assorbenti sta mandando in onda, da mesi, uno spot dove qualsiasi oggetto toccato si trasforma in un utero animato è incomprensibile. Siamo oltre al cattivo gusto, oltre a D’annunzio, oltre perfino al Dadaismo. A parte il fatto che in Pubblicità la vera volgarità sta nella mercificazione dei sentimenti e peggio ancora del dolore, la domanda è: “L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, su questo ha nulla da dire?”
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Ma l’apice del cattivo gusto lo si tocca in questi giorni dove si può assistere a uno spot di un sito internet eCommerce, in cui salgono su una macchina in attesa due signori sui quarant’ anni, quindi non ragazzini goliardici ne anziani incontinenti e si ode il rumore forte ed inequivocabile di un peto; il conducente e i due si guardano con aria inquisitrice ma per niente schifata. Appare il cane, mascotte della campagna pubblicitaria, che dice: “Sbagliato compagnia?”
Che dire? Aspettiamo con ansia e vivida attesa che ci mostrino un ragazzino che vomiti in stile Linda Blair nell’Esorcista, per promuovere un farmaco a base di Bacillus Clausil e metterci a tavola con maggior appetito. Sono soddisfazioni creative!
Tanto per parafrasare il Manzoni: “Il buon gusto chi non ce l’ha non se lo può dare”.
Credit Images: screenshoot from Tim Vision’s spot on Engage.it