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La TV delle risse

Tempo di lettura: 3 min.

Dalle dispute tra intellettuali risolte a colpi di battute irridenti e fulminanti calembour della Dolce Vita allo spettacolo patetico offerto dalla lite tra Sgarbi e Mughini al Costanzo Show: l’inesorabile declino di un paese che si specchia nei Talk Show che calpestano la cultura e la storia

Il 30 Aprile scorso è morto Ron Galella, il re dei paparazzi americani, uno che di risse con gli attori se ne intendeva al pari del nostro King, Rino Barillari, ricoverato più di 140 volte in ospedale per innumerevoli scazzottate. Se il primo duellava con Marlon Brando, il secondo subiva i cazzotti di Walter Chiari, ex pugile dilettantistico. 

 
 
 
 
 
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Anni 60, anni ruggenti dove gli attori vestivano ancora i panni dei divi ai quali tutto o quasi era permesso. Spesso erano trovate pubblicitarie, raramente era qualcosa di personale.

Anni nei quali la macchina della cultura iniziò a crescere in maniera consistente grazie a personaggi straordinari, che fossero editori, scrittori, sceneggiatori, pittori e pochi giornalisti di elevato lignaggio. Ogni gruppo aveva il suo bar di riferimento: Rosati a Piazza del Popolo, Doney o Carpano a via Veneto, per finire al mitico Aragno a Via del Corso, già teatro di riunioni antifasciste al tempio del ventennio. Intellettuali che si mescolavano tra loro e transumavano da un bar all’altro per poi finire da Otello, ristorante in Via della Croce, regno incontrastato di Mario Monicelli.

 
 
 
 
 
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Era il finire della “Dolce Vita”, nata negli 50, quando Cinecittà era la “Hollywood sul Tevere”; era l’ultimo sprazzo, di una fertilità culturale mista ad incoscienza goliardica, colto all’ultimo sussulto da Federico Fellini assieme a quel genio di aforismi che è stato Ennio Flaiano. E se le dispute tra intellettuali, specialmente tra gli scrittori che notoriamente si odiano a morte, si sono risolte a colpi di battute irridenti e fulminanti calembour è stato proprio grazie a quest’ultimo, dotato di sagacia a volte urticante, che ha dato all’umorismo la sua dignità culturale per il modo col quale etichettava personaggi che di solito duettavano in endecasillabi e poetavano in terzine. Ecco che Alberto Moravia, colpito in gioventù da una lieve poliomielite, diventava: “L’Amaro Gambarotta”, così come Vincenzo Cardarelli, sempre con l’inseparabile pastrano anche d’estate, veniva battezzato come “Il più grande poeta morente”. Non risparmiava nemmeno se stesso e davanti all’iniziale flop del suo romanzo “Un marziano a Roma”, oggi di continuo citato, si apostrofò con un indimenticabile: “L’insuccesso mi ha dato alla testa”.

Questo il tessuto della cultura di allora del quale oggi rimane ben misera cosa!

 
 
 
 
 
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Lo spettacolo, esilarante e al contempo patetico, offerto dalla “rissa” tra Vittorio Sgarbi e Giampiero Mughini, noti figli di una TV minore, al Teatro Parioli in occasione di una puntata del “Maurizio Costanzo Show” è la prova della miserrima pochezza dell’attuale classe intellettuale dei nostri tempi. Poco importa chi ha torto e chi ha ragione, se è vero che a volte la forma è sostanza beh, qui si è davanti al vuoto mentale totale dove nemmeno un singolo neurone trova casa. L’unica scusante, vista l’età è che abbiano subito un calo improvviso di glicemia, davanti al quale è d’obbligo infinita pena. Ma di scuse da ambo le parti non risulta traccia.

D’altronde se i Talk Show televisivi vengono spacciati per luoghi di cultura invece di essere declinati per quello che in realtà sono, ovvero dei circhi con la consueta “compagnia di giro” simile a quella dei Freaks, sempre pronta a tramutare in rissa verbale ogni tentativo di approfondimento, non c’è poi da stupirsi se due arroganti “signori”, gonfi della loro supponenza e spinti dal loro piccolo mondo egocentrico, vengano alle mani per aver detto un “imbecille” di troppo. 

Patetiche figure senza un minimo di autoironia!

 
 
 
 
 
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150 150 Gianfranco Gatta
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