Cosa c’entra un monologo sociale con lo spettacolo canoro?
E anche questo Sanremo ce lo siamo levati… Parafrasando la mitica battuta di Riccardo Garrone in “Vacanze di natale”, si ricorda che i fratelli Vanzina la mutuarono da una sentenza in quel di Cortina, all’Hotel Posta, dall’allora diciottenne Giovanni Malagò, oggi Presidente del Coni.
Mahmood e Blanco sono i vincitori, annunciati, di Sanremo 2022; l’eterno Gianni Morandi è arrivato terzo, a dimostrazione che la classe non è acqua, per sua fortuna Sangiovanni ha scavallato il sesto posto e la tanto bistrattata Ana Mena assieme a Tananai, hanno conquistato le due ultime piazze, come da tutti auspicato; inutile dire che sono stati i più simpatici, i più genuini e i più ballabili.
Amen!
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E’ stato il Festival di Amadeus, senza l’ombrello di Fiorello così come è stato il Festival di quel “fenomeno” di Checco Zalone, così difficile da incasellare eppur dotato di chiaro talento.
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Soprattutto è stato il Festival dei monologhi. Già nella passata edizione si era introdotta questa comunicazione con risultati contrastanti; alla commovente testimonianza di Antonella Ferrari sulla sclerosi multipla si contrappose l’imbarazzante monologo di Barbara Palombelli tutto concentrato su stessa, la sua carriera, la sua lotta contro altre colleghe per affermarsi. Decisamente inopportuna!
Quest’anno il direttore artistico del Festival della Canzone Italiana ha deciso di allargare questo momento “di alto spettacolo” a tutti gli ospiti presenti, uomini e donne.
Cosa c’entri un monologo sociale con lo spettacolo canoro ce lo siamo chiesto fin dalla scorsa edizione e continueremo a chiedercelo, rimanendo perplessi sulla sua utilità.
Si sono esibiti Zalone e Roberto Saviano, l’uno con un pistolotto anche divertente ma come si dice in gergo “telefonato”, l’altro, con la sua solita seriosità a volte insopportabile, ha “deliziato” la platea sanremese scambiandola con quella dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Si è esibita l’attrice italo-senegalese Lorena Cesarini, mortificandoci sul problema del razzismo in Italia, ponendosi come vittima di essere nera anziché esserne orgogliosa. Una, che a dir suo, non ha mai subito molestie di razzismo.
Si è attrici anche così!
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E’ stato il Festival di Drusilla Foer, alias Gianluca Gori, che con la sua esibizione ha riparato alle mancanze delle colleghe che l’hanno preceduta, dando sostanza e interpretazione al suo monologo. L’attore si pone al pari di calibri come Dustin Hoffman (Tootsie), Michel Serrault (Il Vizietto) e Robin Williams (Mrs. Doubtfire), con un filo di classe in più. Qui però si apre un problema, come fa notare la scrittrice Elena Loewenthal: “Vuol dire che gli uomini fanno le donne meglio delle donne. Che la donna più brava, elegante e intelligente è un uomo. Le altre che si sono avvicendate, sono impostate, comprimarie, fragili, accessorie.”
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Per fortuna è arrivata, per la serata finale, Sabrina Ferilli. Con la sua avvenenza, la sua leggerezza ha riequilibrato “il tutto”, sprigionando simpatia e spensieratezza. Prendendosi, da par suo, il lusso di mandare a quel paese conduttore e autori, imprigionati nel consueto ruolo maschilista.
Sipario.
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