Rompere il muro di discriminazioni del calcio italiano: il gesto semplice di Maria Sole Ferrieri Caputi ci fa sperare in un futuro più roseo
Nell’evento che stiamo per narrare non c’è nulla di strano, niente di incredibile. Non stiamo parlando di rivoluzioni epocali o di eventi che hanno spostato l’asse della storia… O almeno. Forse in un mondo ideale non sarebbe così. Eppure eccoci qui a raccontare questa storia: lo scorso 2 ottobre Maria Sole Ferrieri Caputi he realizzato una piccola rivoluzione, diventando la prima donna ad arbitrare una partita di serie A, il match Sassuolo-Salerno, al Mapei Stadium di Reggio Emilia.
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Classe 1990, nata a Livorno ma di origini pugliesi, Maria Sole ha una laurea triennale in Scienze Politiche e una magistrale in Sociologia e attualmente lavora a Bergamo in un centro studi di diritto Adapt e all’Università come ricercatrice. Il suo esordio come arbitro professionista risale al 2015, con il match Levito-Atletico San Paolo, ma il momento saliente che le ha permesso di conquistare la serie A è avvenuto nel corso della stagione 2021/2022, durante il match di Coppa Italia Cagliari-Cittadella. Una partita particolarmente difficile, ma gestita con grande professionalità da Maria Sole, risultato che le ha permesso di ottenere la convocazione in serie A.
In Europa è la terza donna ad arbitrare una partita che rientra nei cinque campionati top (serie A, Premiere League, Bundesliga, Liga, Ligue 1) dopo la francese Stéphenie Frappart, che ha debuttato in Ligue 1 nel 2019 e la tedesca Bibiana Steinhaus, che ha esordito in Bundesliga nel 2017, ma in Italia si tratta di un primato assoluto. E non ci dovrebbe essere nulla di strano.
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Non è uno sport per donne
Eppure fa notizia, perché il calcio è ancora un sport incredibilmente maschile. Stando ai dati riportati da un ricerca del network Women in Football del 2020, due donne su tre che lavorano nel mondo del calcio hanno vissuto episodi di sessismo sul luogo di lavoro e la metà delle intervistate percepiscono di essere giudicate principalmente per il loro aspetto piuttosto che per competenze ed abilità. Per non parlare delle forti disparità che esistono tra il calcio professionale maschile e femminile, dove il riconoscimento per le atlete professioniste è arrivato solo nella stagione 2022/2023 con l’aggiunta di tutele sanitarie, previdenziali e di contributi per offrire supporto e sostegno alle giocatrici.
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Ma un forte peso (e sembra assurdo, ma è così) viene dato dal fittissimo impasto di pregiudizi e stereotipi che ancora regnano nel calcio italiano: un mondo che sembra essere legato a un modello di maschile tossico, ancorato a un’idea di sport come machismo e prevaricazione dell’altro. Il calcio è lo sport più amato e seguito in Italia e in un certo senso è diventato lo specchio di una mentalità italiana diffusa, retrograda ma ancora dominante, seppur ormai messa in discussione, dove spesso il sessismo si intreccia ad altre discriminazioni, come omofobia e razzismo. Ma il calcio in fondo è sport e lo sport è per tutti, uomini, donne, chiunque.
E storie come quelle di Maria Sole sono più preziose che mai: perché sono dimostrazioni di fatto, che alla fine essere arbitri non è un compito che viene dato agli uomini per diritto divino, ma una semplice azione, per cui bastano professionalità, passione e impegno. E ovviamente c’è ancora tanta retorica, la narrazione delle mitologiche “prime donne che”, come se fossimo una categoria non degna di avere nomi e cognomi, le diatribe sulla scelta di “arbitro/arbitra”, chi si chiede se in futuro Maria Sole preferirà privilegiare la carriera o avere una famiglia. Un corollario trito e ritrito che sembra accompagnare ogni donna che spezza un muro di difficoltà, ma che dobbiamo eliminare semplicemente dimostrando che sì, è un gioco da ragazzi, ma anche da ragazze.
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E in un momento storico complesso come questo, in cui siamo proiettati nel futuro ma allo stesso tempo sembra che, da un punto di vista di diritti, stiamo retrocedendo alla velocità della luce, una piccola rivoluzione silenziosa come quella di Maria Sole è assolutamente più che gradita.