Questo racconto è parte della serie (NON) HO PAURA
La paura della morte credo sia la paura più radicata in qualsiasi essere umano. Ognuno decide di affrontarla in modo diverso, affidandosi a religione o razionalità; altri invece trascorrono la loro vita procrastinando il più possibile il momento in cui, inevitabilmente, questa varcherà la loro soglia. Si può pensare che un ospedale rappresenti il luogo in cui si concretizzi di più la paura della morte. Ma in questi anni da medico ho avuto modo di vederla in tante e diverse forme, concentrandomi su sfaccettature che non mi ero mai fermata ad osservare.
Ciascuno mostra una forza diversa di fronte alla notizia di una malattia e, quindi, alla reale possibilità di morire. Ed è in quel momento che vedi la paura strisciare nella vita di una persona che probabilmente, fino a quel momento, non aveva mai creduto che un giorno se ne sarebbe andata. Un’ombra che s’infiltra e corrode la vita in profondità, fino a far crollare ogni certezza. Ogni volta in cui mi capita di dover dare una brutta notizia, cerco di soppesare le parole, di trovare quelle giuste che non nascondano la verità ma che non uccidano la speranza, che tengano una luce accesa nell’ombra buia della paura da cui so che i pazienti non potranno scappare, perché il terrore salirà dallo stomaco fino agli occhi, alla testa e poi scenderà giù, lungo le gambe e li lascerà pietrificati davanti alla prospettiva di perdere tutto quello che hanno, tutto quello che avrebbero potuto avere. Giovani, anziani, non importa l’età, finché ci sarà qualcuno da lasciare, ci sarà qualcosa da perdere.
A questo punto non risulta banale chiedersi quanto egoismo ci sia di fronte la paura di morire? Questa è forse la cosa più sorprendente e, insieme, più straziante, che mi sia capitata di vedere in questi anni. Nessuno ha paura di morire per sé stesso, mentre tutti hanno paura per ciò che la propria morte possa rappresentare per chi resta. E così, la paura della morte, non è più quella di finire in un oblio, bensì quella che siano le persone che amiamo a caderci per il resto della loro vita. Ed è qui che un sentimento che, in un primo momento, possiamo percepire in modo del tutto negativo, si intreccia con il suo esatto opposto: l’amore. Per quanto banale possa essere, l’amore si dimostra sempre essere il contrappeso di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che ha valore durante la propria esistenza. E non ho mai visto paura più grande di quella che si prova all’idea di poter lasciare le persone amate.
Mi sono chiesta tante volte se fosse giusto cercare un modo per cancellare la paura dalla vita dei pazienti che ho conosciuto e che conoscerò, ma alla fine mi sono convinta che nella sua più atroce violenza è uno dei sentimenti più autentici e profondi che abbia mai visto. La paura di morire da una parte trascina verso il basso proiettando chi la prova verso abissi profondissimi e bui, ma dall’altra è paradossalmente anche il galleggiante che obbliga a tenere la testa in su, a continuare a respirare, non per sé stessi, ma per le persone amate.
C’è una scena del film Donnie Darko in cui agli estremi di una linea, definita “linea della vita” vengono collocati proprio questi due sentimenti: ad un capo l’amore e ad un capo la paura. Non ho mai capito fino in fondo quel concetto, sembrava un accostamento del tutto sbagliato. Adesso che ho quotidianamente a che fare con la vita e poi con la morte, mi capita spesso di ripensarci e mi sembra proprio che non ci sia bilancio più giusto. È ancora straziante vedere negli occhi dei miei pazienti comparire quell’oscurità, però, ora, mi spaventa ancora di più non vederla. Perché ho imparato che insieme a quella paura ci sono tante persone che sono pronte a sorreggerli con una mano e ad illuminare il loro percorso con l’altra.
Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios