Nel pezzo scritto per il New York Magazine ripercorre la sua carriera
Un paio di giorni fa la modella Emily Ratajkowski ha pubblicato su The Cut, sofisticata testata del New York Magazine, un intenso articolo autobiografico. Nel pezzo Emily ripercorre la sua carriera, raccontando alcuni episodi emblematici e controversi che se da un lato le hanno permesso di crescere professionalmente e non solo, dall’altro svelano il lato più squallido e becero del fashion system.
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In primis Emily racconta di un paparazzo che le ha fatto causa, colpevole di avere usato un suo scatto sui social senza citarne la fonte né pagarne i diritti. Dopodiché parla di Richard Prince, famoso e quotato artista che scelse un paio di suoi scatti per riprodurne dei dipinti dal valore di 80,000 dollari e oltre, e che appunto ritraevano la modella in dei riquadri da feed di Instagram, accompagnati da didascalia e commenti. Emily ai tempi non aveva ancora sufficienti risorse finanziarie per potersi permettere di acquistare una di quelle costose opere, ed è ridicolo che, pur essendo il soggetto del dipinto, non abbia visto un soldo per il suo contributo di musa.
Infine racconta i retroscena di un apparentemente innocuo servizio di lingerie che scattò a 20 anni nella casa newyorkese di Jonathan Leder, fotografo piuttosto famoso ai tempi. Emily beve un sacco di vino per apparire grande e sicura di sé, posa senza pudore e con grande professionalità, riceve dei commenti anatomici piuttosto imbarazzanti. Infine, racconta dell’abuso subito dal fotografo, che ha provato ad approfittare di lei una volta finito lo shooting. Oltre alla sgradevole esperienza, Emily ha dovuto riaffrontare Leder più volte nella sua carriera. Quel servizio di polaroid negli anni è diventato un’inesauribile fonte di foto sensualissime della modella. Leder ha letteralmente speculato sulla crescente popolarità di Emily, pubblicando un libro titolato “Emily Ratajkowski” e finanziando una mostra sempre di foto della modella. E se Emily ha cercato di dissuadere il pubblico ad andare alla mostra con un accorato appello online, l’effetto è stato invece inverso, portando un’affluenza inaspettata nella galleria di Leder.
Grazie al suo lavoro, ai sacrifici e alle scelte imprenditoriali oculate, Emily è riuscita a comprare uno di quei famosi quadri di Richard Prince, esposto ora fieramente nel suo living losangelino, e da qui l’emblematico titolo “Buying Myself Back”. Ma è solo la prima di tante conquiste, trovandosi ancora impelagata in cause legali che riguardano la sua immagine, e come essa venga manipolata da terzi per fini commerciali e/o sessuali (molte sue foto erano finite anche in un sito pseudo-pornografico).
La coraggiosa testimonianza di Emily denuncia un sistema moda ancora fortemente maschilista e disonesto, popolato da sedicenti artisti e fotografi e direttori che vivono la loro vocazione artistica come un pretesto per fare affari d’oro e concedersi qualche scappatella, essendo tutti più grandi, più ricchi, più potenti delle modelle con cui hanno a che fare. Eppure sono proprio le modelle come Emily che consentono loro di guadagnare così bene da permettersi di esporre in gallerie famose o pubblicare patinati editoriali su riviste molto chic.
La Ratajkowski ha audacemente dimostrato il paradosso del sistema moda, che esiste in funzione di un universo femminile, ma soggiogato da una pletora di figure molto poco professionali e prettamente maschili. Si mette in luce un mondo fatto di ombre, di poca sensibilità e di avidità senza scrupoli, in cui Emily, fra una crisi e l’altra, è riuscita a farsi coraggiosamente strada, ma per una come lei esistono centinaia di ragazze che sono silenti vittime di una realtà così mortificante. Se si pensa anche alle recenti realtà delle chat di Telegram, popolate da ragazzi e adulti che si scambiano foto varie di amiche, modelle, parenti, o al controverso “Cuties”, film d’autore che denuncia l’ipersessualizzazione delle preadolescenti, non si può che riflettere su come il corpo femminile sia da sempre oggetto di una manipolazione costante e disonesta. Non solo perchè viene usato con fini diversissimi, ma anche perchè non viene mai presa in considerazione la sensibilità dei soggetti ritratti.
Emily non rinnega la sua professione di modella, la sua carriera costruita su un corpo bellissimo e un volto notevole, il suo essere disinibita di fronte ad un obiettivo. Ma l’equazione “il corpo è mio e decido io” non è mai pienamente rispettata nella sua esperienza professionale, e ancora oggi è paradossalmente vittima di se stessa. Speriamo davvero che questa preziosa testimonianza sia un punto di svolta per trattare il corpo femminile con il rispetto professionale che merita, e che si trovi finalmente il giusto mezzo fra la retorica della donna come fragile fiorellino e quella di “una facile”.