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Transgender, il mondo senza luce

I farmaci per cambiare sesso diventano a carico dello stato, ma sull'universo transessuale incombono pregiudizi e luoghi comuni che spingono all'emarginazione. Come combatterli?

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A partire dal primo ottobre l’AIFA, l’agenzia italiana del farmaco, ha stabilito che i farmaci ormonali, per le transizioni di genere, sono a carico del Servizio sanitario nazionale. La notizia è scivolata via, tra le note d’agenzia, senza destare particolare scalpore, nascosta tra le pieghe di una società che considera il fenomeno della transessualità come qualcosa di estraneo se non sconveniente. Eppure la decisione che permette a coloro che hanno scelto di cambiare sesso di usufruire dell’assistenza pubblica ha una portata rivoluzionaria ed è frutto di decennio di battaglie portate avanti da numerose associazioni nate per dare voce a chi vive una condizione di disagio causata da quella che, in modo indelicato, potremmo definire una “diversità”.

Una diversità che il nostro mondo, fondato su un patriarcato che affonda le radici nei secoli e che fatica a cedere alle sollecitazioni della scienza e della conoscenza, tenta di respingere con fastidio, a derubricare e a occultare. In Italia, ad esempio, ancora oggi non è dato sapere quanti siano gli individui transessuali, dove per transessuali si intendono le persone che decidono di modificare il proprio corpo attraverso i trattamenti ormonali ed, eventualmente, la chirurgia. Gli ultimi dati a disposizione risalgono a uno studio pubblicato nel 2011, che si riferiva alla popolazione transgender adulta sottoposta a intervento chirurgico tra il 1992 e il 2008, studio che affermava l’esistenza di 424 donne transessuali e 125 uomini transessuali. Numeri lontanissimi dalla realtà. 

“I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400 mila italiani” ha spiegato Marina Pierdominici, ricercatrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità, in un’intervista a Repubblica.it. Un numero che testimonia quanto sia presente il fenomeno e dunque importante che venga messa in campo una campagna di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica allo scopo di dare dignità e pari diritti a individui che non chiedono altro che essere riconosciuti.

“La conoscenza del numero reale delle persone transgender rappresenta il primo passo verso l’effettiva presa in carico di questa fascia di popolazione da parte del sistema sanitario” ha sostenuto nell’intervista di cui sopra Marina Pierdominici illustrando il progetto che l’Azienda ospedaliera universitaria Careggi, l’Università di Firenze, l’Istituto superiore di sanità, la fondazione The Bridge con il supporto dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere hanno avviato: un censimento online chiamato Spot (Stima della Popolazione Transgender) volto a tracciare un quadro chiaro della situazione.

In cosa consiste? Si tratta di un semplice questionario, rigorosamente anonimo, da compilare online all'indirizzo: www.studiopopolazionespot.it/. Rivolto a tutta la popolazione, il questionario si prefigge di fare ordine e dare luce a una condizione sottraendola all’emarginazione a cui è relegata. Un primo passo da accompagnare con l’uso della terminologia corretta da adottare quando si affronta il fenomeno. Ecco dunque che, a chi compila il questionario, viene rilasciato online un manualetto per comprendere al meglio il tema del genere.

Conoscere, rispettare, usare le parole giuste è di vitale importanza quando si affronta un tema come questo perché, come afferma Maddalena Mosconi, psicologa, psicoterapeuta, esperta in transessualismo, “la sofferenza maggiore che vivono le persone con disturbi di identità di genere deriva in primo luogo dai pregiudizi e dagli stereotipi e l’atteggiamento culturale presente in Italia non solo non facilita l’elaborazione di queste difficoltà, ma ne acuisce la sintomatologia”.