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Squid Game e il chiaroscuro delle sue protagoniste femminili

Sae-Byeok, My-Nyeo e Ji-Yeong rappresentano tre donne diverse tra loro, accomunate da un’umanita spezzata, ma incredibilmente vivida e sfaccetata. Non perfetta, ma non per questo meno affascinante e non degna di essere raccontata.

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Articolo con spoilersss, leggete a vostro rischio e pericolo.

A meno che non abbiate passato l’ultimo mese in ritiro spirituale tra i monti tibetani, nelle profondità dei boschi a cercare voi stessi (senza Wi-Fi) o in orbita intorno a una stazione spaziale, avrete sicuramente sentito parlare di Squid Game.

La serie coreana prodotta da Netflix si è rivelata un successo esplosivo, un fenomeno di massa come non si vedeva da tempo, ancora più interessante se teniamo conto che si tratta di un prodotto non occidentale. Squid Game è una metafora delle peggiori derive della nostra società, con persone disperate, ricoperte da debiti e schiacciate da vite senza via d’uscita, che vengono reclutate da una misteriosa organizzazione per competere in un gioco perverso: chi supera le prove prosegue e ha la possibilità di vincere un ricco premio in denaro, chi perde muore.

E il fatto che le prove siano effettivamente giochi da bambini fa realizzare quanto spesso tanti aspetti della nostra società siano assurdi e costruiti appunto su giochi. La trama, divisa tra momenti di angoscia, amara comicità e anche poesia struggente, cattura, con i suoi personaggi, figure sfaccettate e complesse, dal protagonista Gi-Hun, fannullone dal cuore d’oro, che compie un’incredibile evoluzione, al suo amico-nemico Sang-Woo, anti-eroe disposto a tutto pur di vincere, al misterioso vecchietto Il-Nam, che è tutto meno quello che sembra.

 
 
 
 
 
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In questo contesto è interessare osservare come si muovono le figure femminili. La “società” che viene creata dai concorrenti del gioco è una versione più brutale della società coreana, con tutti i suoi lati oscuri che vengono portati alla luce. La misteriosa associazione presieduta dalla figura del suo capo, il Front Man e dalle sue guardie è solamente maschile.

I concorrenti posti di fronte alle prove, puntano a privilegiare la forza fisica e a screditare le concorrenti femminili: è un contesto in cui sessismo ancora pervasivo (che in Corea del Sud è un problema estremamente diffuso) viene portato all’estremo e come spiega il regista Hwang Dong-hyuk, il succo è mettere in luce come un gruppo di persone si comporta nelle situazioni peggiori, quando istinti che normalmente sono repressi vengono a galla. Un mondo brutale dove conta la sopravvivenza.

La prima figura femminile che incontriamo è Kang Sae-Byeok. Interpretata dall’affascinante Jung Ho-Yeon, modella trasformata in attrice che è già l’IT girl del momento, è una ragazza che parla con gli occhi. Sae-Byeok parla poco con le parole, ma il suo sguardo è fatto d’acciaio temprato, comunica una tensione continua, come un puma selvatico che sta per scattare. Fuggita dalla Corea del Nord con il fratellino, che vive in un orfanotrofio a Seoul, vuole vincere il denaro per permettere anche alla madre di raggiungerla.

Costretta a una vita criminale, è una ragazza che si fa strada in un mondo difficile: c’è qualcosa di affascinante in questa figura minuta, che viene denigrata e sottovalutata, ma che si rivela una delle concorrenti più forti e capaci della competizione, tanto da arrivare in finale. Non c’è nulla di glamour o di edulcorato nel suo ritratto: mossa da un desiderio di sopravvivenza, resa stoica da una vita difficile è ammirevole nella sua tenacia di preservare gli affetti più vicini e per questo la sua morte risulta ancora più straziante.

 
 
 
 
 
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Se Sae-Byeok appare poco emotiva, scevra da ogni connotazione tradizionalmente “femminile”, all’opposto troviamo Han Mi-Nyeo. Emotiva, caotica, il cosiddetto elephant in the room, Mi-Nyeo sostiene di essere una madre single in cerca di fortuna, ma oscilla tra verità e bugie, dunque who knows. Mi-Nyeo è una figura femminile piena di ombre: teatrale in un modo a tratti patetico, sopra le righe, utilizza le armi della furbizia e soprattutto della seduzione per procedere nel corso del gioco.

Non è un personaggio positivo ma allo stesso tempo è interessante, poiché mostra il comportamento di una donna abituata vivere in un mondo codificato attraverso l’ideologia del patriarcato, dove il suo unico valore passa attraverso il corpo. Anche il modo in cui muore, suicidandosi insieme al gangster Jang Deok-Su, che l’ha sedotta e abbandonata, rientra in questo ritratto distorto di donna che vive in modo passionale ed eccessivo sino alla fine. Nuovamente è la rappresentazione distorta di un mondo che conosciamo bene.

 
 
 
 
 
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Infine una delle protagoniste che ci regala uno dei momenti più delicati e profondi della serie, Ji-Yeong. Questa ragazza dall’aspetto sorridente e solare nasconde in realtà un passato pieno di oscurità: partecipa al gioco senza uno scopo, dopo essere uscita di prigione per aver ucciso il padre, che a sua volta aveva ucciso la moglie e abusato della figlia. Con questo background traumatico, Ji-Yeong è uno dei personaggi più positivi della serie, attraverso l’improbabile rapporto di amicizia che stringe con Sae-Byeok.

Le due, unite dalle loro nature silenziose e dalle esperienze che hanno subito, fanno squadra in un contesto ostile e durante la prova del gioco delle biglie, dove i giocatori divisi in coppie sono costretti a combattere tra di loro per vincere, sono le uniche a confrontarsi pacificamente, raccontando le rispettive storie in modo sincero e limpido, immaginando una vita pacifica al di fuori del gioco. Alla fine, in mezzo ai conflitti brutali degli altri concorrenti, Ji-Yeong è la più forte, che si sacrifica scegliendo di perdere volontariamente, per permettere a Sae-Byeok di proseguire per aiutare la sua famiglia. Il momento finale tra le due ragazze è carico di emozione e fa pensare a cosa sarebbe successo in un mondo in cui entrambe si sarebbero salvate.

 
 
 
 
 
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Tra le critiche che sono state mosse a Squid Game c’è anche quella di sessismo. Sessismo perché le donne non emergono in modo positivo e nessuna delle tre protagoniste principali trionfa. Se devo fare una critica in questo senso potrei dire che effettivamente lo spazio dedicato alle vicende femminili è sicuramente più esiguo rispetto ai personaggi maschili e sarebbe stato bello scoprire qualcosa in più sulle vite di Sae-Byeok, My-Nyeo e Ji-Yeong.

Ma come abbiamo detto non è una questione di sessismo: è una questione di raccontare una realtà brutale. Non è un mondo edulcorato, è un mondo ingiusto, costruito su strutture in cui non ci riconosciamo e alla fine nessuno vince. A volte è necessario riconoscere che ci sono zone d’ombra e non sempre si riesce a seguire un ideale, a dipingere un quadro fatto di luce. Non ci sono buone donne e cattive donne, ma donne che cercano di sopravvivere ed è giusto anche così.