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Ruota degli esposti: genesi, evoluzione, presente

Passato e presente si incontrano

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Qualche settimana fa, la culla per la vita, erede dell’antica ruota degli esposti, è tornata sulla bocca di tutti: ha scatenato i leoni da tastiera, fomentato un’opinione pubblica sempre più tifoseria e sempre meno empatica. Ma che cos’è e come funziona? Qual è la sua storia? 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Roba da Donne (@robadadonne)

Incamminiamoci, senza giudizi morali né con lo sguardo del presente, in un viaggio à rebours per scoprire le radici di questo fenomeno. Prima tappa: la Roma antica. Le motivazioni che spingevano i cittadini dell’Urbe a non riconoscere un figlio erano molteplici: difficoltà economiche, malformazioni fisiche, relazioni illecite o incestuose. Le bambine poi, erano soggette maggiormente all’abbandono, perché considerate un peso economico, in quanto necessitavano di una dote. I bambini venivano quindi lasciati ai piedi della Columna lactaria, situata vicino al Foro o al mercato. Riparati dalle intemperie e protetti dalle statue delle dee Postevorta e Antevorta (divinità del passato e del futuro, rispettivamente protettrici dei nascituri in posizione podalica e cefalica), attendevano che qualcuno li aiutasse o li adottasse. Per qualcuno rappresentavano, purtroppo, una fonte di guadagno: potevano infatti essere presi come schiavi e successivamente rivenduti.

Oggi non resta traccia della Columna a Roma, anche se diverse fonti collocano la sua presenza nei pressi del teatro Marcello.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Adriana Gonzalez🖤 (@by.adrianagonzalez_enfermera)

Per la prima vera e propria struttura di accoglienza per gli esposti (i bambini abbandonati, n.d.r.), bisogna attendere il 787. L’arciprete di Milano Dateo, “addolorato ed esasperato che tante povere vittime innocenti dell'adulterio o della miseria fossero così cinicamente abbandonate per le vie”, fondò lo Xenodochio (dal greco ξενοδοχεῖον: xénos ospite, e dochèion, da dèchomai ricevo), nell’attuale via Silvio Pellico, a pochi passi dal Duomo. Questo edificio, oggi non più visibile, rappresentava un luogo di salvezza del corpo quanto dell’anima: secondo la Chiesa infatti, i bambini lasciati per strada, non ricevendo il battesimo, erano dannati per l’eternità; solo la carità cristiana poteva salvarli.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Bru.Co. (@brucostoria)

L’introduzione del meccanismo della ruota si deve invece a papa Innocenzo III, il pontefice della quarta crociata e dell’approvazione della regola francescana. Secondo la leggenda, turbato da incubi ricorrenti in cui assisteva al ritrovamento di neonati annegati nel Tevere, nel 1198 il pontefice istituì, all’Arcispedale di Santo Spirito in Saxia, la prima ruota degli esposti: un cilindro rotante in legno a due facce, una rivolta all’interno della struttura e una verso l’esterno. Attraverso un foro di una grata, si depositava il bambino, si girava la ruota e si suonava una campana per avvisare le monache dell’ospedale. Era uso comune lasciare piccole offerte e degli oggetti per il neonato. Questo strumento è ancora visibile oggi: a pochi passi da via della Conciliazione, all’esterno del Complesso Monumentale S. Spirito in Saxia, si vede una piccola tettoia che protegge il meccanismo.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da RomaSegreta.it (@romasegreta.it)

Nei secoli successivi, il fenomeno si allarga a tutta l’Europa e in tutta la penisola italiana si possono trovare, nelle grandi città, tracce della loro presenza. Celebre è quella dello Spedale degli Innocenti a Firenze, attiva dal 5 febbraio 1445 al 30 giugno 1875, ornata da questa targa: “questa fu per quattro secoli, fino al 1875, la ruota degli innocenti, segreto rifugio di miserie e di colpe, alle quali perpetua soccorre, quella carità che non serra porte”.

A metà Ottocento, complice l'exploit demografico in seguito alla rivoluzione industriale, si intensifica il fenomeno dell’affidamento tramite le ruote (solo su territorio italiano se ne contavano oltre 1200), con un conseguente peggioramento delle condizioni dei brefotrofi europei. In Italia, lentamente verranno soppresse, fino alla totale abolizione nel 1923, ad opera del regime fascista. Rimase come unica possibilità la consegna diretta del neonato.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Enrico Busato (@enrico_busato_pharch)

Solo negli anni Novanta si aprirà nuovamente il dibattito sul riutilizzo dell’antico strumento, nell’ottica di prevenire infanticidi e abbandoni: iniziano così a spuntare le culle per la vita, moderne nel funzionamento ma eredi dirette delle ruote. Risultato di questo è l’apertura, nel 2006 della prima culla all’interno di un ospedale: come per l’antenata di legno, è Roma, precisamente il Policlinico Casilino, ad ospitarla. Ulteriore sostegno alle madri che scelgono di affidare (non abbandonare, come spesso la cronaca riporta) viene dato dalla legge: l’art. 30 comma 2° del d.p.r. 3 novembre 2000 sancisce infatti il diritto alla scelta sul riconoscimento e obbliga il personale sanitario al rispetto “dell'eventuale volontà della madre di non essere nominata”. Numerose sono le onlus che sensibilizzano e informano dell'esistenza di questa possibilità: si trovano infatti mappe online in cui sono indicate, per ogni regione, le culle per la vita.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da La Ragione (@laragione.eu)

Il ricorso alla culla non deve essere strumentalizzato come unica e giusta alternativa all’aborto (chi ha il diritto di decretare cosa sia più giusto?!); viceversa non si può tacciare automaticamente di posizioni antiabortiste chi informa e chi ne fa uso. Un terreno insidioso, oggi come ieri, che tocca le coscienze delle persone e accende gli animi del dibattito, con il rischio concreto di perdere di vista l’elemento più importante: la libertà di scelta, attuabile solo se vi sono più alternative e meno processi alle intenzioni.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Nxwss (si legge News) (@nxwss)

Image Tommaso Pecchioli on Unsplash