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La storia di Aurora Caporossi: dall’anoressia nervosa ad Animenta, un’associazione che dà voce alle storie vissute

“Guarire dai disturbi alimentari è possibile…”

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Sono le 14:00 di un mercoledì pomeriggio di fine Luglio. Milano è ancora in ginocchio per il nubifragio. Davanti allo schermo appare Aurora che, nonostante la giovanissima età, è un fiume di parole consapevoli

Una lieve cadenza romana e una velocità espressiva alla quale chiunque farebbe fatica a stare dietro. Si presenta. Un modus sistematizzato: nome, cognome, anni, esperienza lavorativa… 

Dopo una prima parte formale, si scioglie senza però perdere il controllo delle parole. La sua arma fondamentale. 

 
 
 
 
 
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Raccontaci la tua storia.

Sono Aurora Caporossi, vengo da Roma e ho 25 anni. Prima di fondare Animenta, l’ong che si occupa di abbattere lo stigma sociale sui disturbi alimentari, ho lavorato come marketing manager in un’azienda di tutt’altro settore. 

A 16 anni ho sofferto di anoressia nervosa, un’esperienza che oggi riesco a raccontare anche grazie alla voce di mia madre. L’anoressia non riguarda mai solo la persona che ne soffre, anche tutte quelle che le stanno intorno

Tu come ti vedevi?

Bene. Non vedevo il problema, non percepivo il modo in cui il corpo cambiava. Nella realtà dei fatti, non riuscivo a vedermi, infatti non ho ricordo della mia immagine riflessa allo specchio. Piano piano ho perso tutti i miei amici. Stare accanto ad una persona malata è frustrante.

L’orologio della mia malattia scandiva ossessioni per il fisico, per lo sport, per il cibo

Oggi come stai?

Guarire dai disturbi alimentari è possibile. Ho fatto un percorso di terapia durato un anno e mezzo prima di prendere coscienza della guarigione.

Il percorso di recovery è un percorso trasformativo. Mi piace fare il paragone con le strade di Roma, piene di buche e ricadute. Percorrerle non significa non arrivare a destinazione

 
 
 
 
 
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Quanto è approssimativa la comunicazione sul mondo del cibo e perché?

I disturbi alimentari sono patologie multifattoriali e hanno cause diverse. Viviamo in una società che è corpo centrica. I corpi che, però, vediamo in tv, sulle passerelle, sui social media rappresentano l’1% dei corpi reali. Il problema è che la realtà non ci è stata mai raccontata. 

Con la comunicazione che facciamo con Animenta cerchiamo di raccontare che cosa sono i disturbi alimentari, riscoprendo il vero significato di alcune parole, come il termine sano oggi molto legato all’alimentazione. Il cibo è relazione, cultura, non solo un insieme di micro e macro nutrienti. Siamo vittime di falsi miti che riecheggiano nelle conversazioni che abbiamo in famiglia.

E quanto marketing c’è intorno al linguaggio inclusivo?

Le aziende, è inutile negarlo, nascono per fare profitto. Con il passare del tempo, si sono rese conto che hanno consumatori sempre più attenti e sempre più consapevoli e cercano di soddisfare le loro necessità comunicative. 

Nel momento in cui si sposa una causa importante come la diversity inclusion sono dell’opinione che non sia possibile farlo solo per guadagnarci. Il giusto modo per fare una campagna di sensibilizzazione è mettere in mezzo chi il disagio l’ha conosciuto veramente. 

Cosa fa stare bene una persona malata di anoressia nervosa?

Ti compiaci delle persone che ti fanno i complimenti perché sei dimagrita. Trovi rifugio nei gruppi pro-ana. Sei convinta di poter controllare tutto. In primis il tuo corpo. 

 
 
 
 
 
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Tu eri in questi gruppi?

Cercando informazioni online ci sono incappata e ne sono uscita grazie al percorso di terapia

Raccontaci della nascita di Animenta.

Animenta è un’organizzazione che nasce nel 2021 proprio con lo scopo di sensibilizzare riguardo i disturbi alimentari. Raccontiamo le storie con l’idea di provare a rappresentare quello che prova chi vive la malattia. È una narrazione nuova che non romanticizza ma che permette di accogliere. 

Le nostre attività si dividono in tre macro aree:

  • “Informazione e prevenzione” nelle scuole medie e superiori.
  • “Supporto psicologico online” in partnership con UNOBRAVO.
  • “E poi?” Ovvero attività riabilitative e post riabilitative per il reinserimento della persona guarita nella quotidianità.

Quale sarà l’evoluzione della ong?

Ad oggi abbiamo una forte presenza online, vogliamo concretizzarla anche offline. Prima su Roma e poi sul territorio nazionale. 

 
 
 
 
 
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Una domanda che vorresti ti facessi?

“Quanto è importante chiedere aiuto?”

Uno dei problemi che viviamo ad oggi è la velleità della malattia. Molte persone, ad esempio, non vengono accettate nei centri perché non sono abbastanza malate. Non esiste un’unità di misura per il dolore. Non bisogna toccare il fondo per chiedere aiuto. 

 

 

 

Foto di Aurora Caporossi