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La (non) mistica della maternità: riflessioni sulla festa della mamma

Essere o non essere madri, l’eterna battaglia sui nostri corpi e il diritto di dire: non sono fatti vostri

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Nell’universo distopico di The Handmaid’s Tale, da noi noto come Il Racconto dell’Ancella, la scrittrice canadese Margaret Atwood dipinge un futuro da incubo in cui il Nord America è dominato dal regime di Gilead, dove le donne vengono private della loro libertà e suddivise nella società in base alla loro capacità o meno di poter procreare: per farla breve, se sei fertile ti trasformi in una macchina sforna-figli, altrimenti sei una non-donna che vive ai margini della società.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da The Handmaid's Tale (@handmaidsonhulu)

Questo è uno scenario di fantasia ovviamente, ma poggia le sue radici nella realtà che ancora oggi le tematiche legate a maternità e fertilità dovrebbero essere appannaggio delle donne, una scelta personale e sentita e invece spesso considerate affari pubblici su cui tutti possono esprimere opinioni, spesso non gradite. Un tema che è più attuale che mai a ridosso della Festa della Mamma.

Esiste un alone quasi mistico intorno alla figura della “mamma”, come strati luminosi di una sfera, che la avvolgono di un bagliore che è però artificiale e difficil da sciogliere.

In questo senso è interessante osservare come sia nata la Festa della Mamma nella sua versione contemporanea: le sue origini sono antichissime, risalgono al mondo greco-romano e si riconducono alle feste delle divinità femminili legate alla fertilità; nell’800 viene portata avanti da varie attiviste americane con una serie di iniziative dal sapore più politico, tra cui quella di Anna Jarvis, che contribuisce a far calendarizzare l’evento nel 1914.

In Italia arriva nel 1933, sotto il regime fascista, dove viene sfruttata a fini di propaganda, per spingere le donne a fare figli per la patria (yikes) e negli anni 50 si divide in due manifestazioni: una più commerciale organizzata da un gruppo di fiorai della Liguria e una religiosa, organizzata ad Assisi, per celebrare il valore cristiano della maternità.

Ora non so voi, ma trovo un po’ triste (ma non sorprendente) ricondurre la celebrazione della figura della madre a ragioni di propaganda, di religione o banalmente al semplice bisogno di vendere mazzi di fiori: altri strati che si aggiungono, sembra che tutti parlano dell’essere madri tranne le madri.

Perché è di questo che si tratta: essere madri è una scelta in un certo senso radicale, che cambia il corpo, cambia la vita, sconvolge equilibri e nessuno, se non chi lo vive sulla propria pelle, può sapere cosa vuol dire.

In Italia esiste questa buffa mistica per cui ancora oggi, in quest’anno semi-demoniaco che è il 2021, la mamma è una figura rassicurante, sempre con il sorriso, che non fa mai fatica, che magari, piccola ammissione, deve barcamenarsi tra figli, lavoro e faccende, però sembra quasi che questo faccia parte della sua natura, le mamme sono naturalmente delle eroine multitasking, quante vignette per la festa della mamma giocano su questo tema?

Eppure la realtà è vagamente più grigia: la figura mistica della mamma è esaltata ma la mamma in quanto persona fisica, è una donna che spesso viene lasciata a se stessa, come se svolgere questo compito fosse impresso nel suo DNA, senza aiuti e senza sussidi dallo stato, scoraggiata e poco supportata dai datori di lavoro (per citate un caso recente, quello della pallavolista Lara Lugli, licenziata dalla sua squadra dopo aver annunciato di essere incinta).

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Acrimònia Magazine (@acrimoniamagazine)

Non c’è da stupirsi se in questa situazione tante ragazze decidano di non fare figli. Ma non solo. La nostra società è cambiata radicalmente: un tempo l’unica realizzazione sociale possibile per le donne era quello di diventare madri. Esistevano strade alternative, certo ma meno facilmente percorribili, spesso rimanevano solo sogni.

Oggi questi sogni possono diventare una realtà e tante donne scelgono di percorrere strade diverse.

Perché le priorità sono altre, ma anche i valori sono altri, c’è chi desidera la famiglia, chi costruisce la propria vita su prospettive diverse, meno tradizionali: è la natura fluida della nostra generazione, cresciuta a cavallo tra la maggiore solidità dei genitori e l’incertezza del futuro, una generazione che vive in uno stato di maggiore libertà ma allo stesso tempo maggiore incertezza, con condizioni economiche e di lavoro volatili e precarie, dove la prospettiva di creare una famiglia non appare ideale ma a volte neppure desiderata.

Le statistiche sull’abbassamento della natalità non devono dunque stupirci da un certo punto di vista.

Una serie di fattori non da poco, ma che vengono misteriosamente dimenticati da quella persona media che conosciamo tutti e che almeno una volta ci ha posto QUELLA domanda, la tipica domanda che più o meno tutte le donne si sentono dire quando raggiungono l’età adulta e sono in coppia: ma quando lo fai un bambino?

Perché ancora oggi, e qui torna alla ribalta quel residuo di passato in cui ancora è immersa la nostra generazione, sembra che per avere una vita completa sia necessario fare un figlio. Un figlio è una persona viva che richiede cura, attenzioni, amore. Non è semplicemente uno status symbol da sfoggiare con amici e famiglia.

E oltre alle difficoltà che abbiamo menzionato, spesso esistono difficoltà più silenziose ma non meno serie. Spesso esiste la volontà di fare figli, di costruire una famiglia, ma si presentano situazioni come quella dell’infertilità, che in Italia riguarda il 15% delle coppie.

 
 
 
 
 
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Se ne parla poco, eppure si tratta di problematiche reali, che condizionano molte coppie e vengono vissute come mancanze e difetti insormontabili. Di nuovo, questo è l’alone mistico della maternità, ma questa presunta perfezione che in realtà non esiste.

La realtà è molto più brutale e forse parlarne di più, levare pian piano gli strati, può aiutare tante donne a capire e a capirsi, a realizzare che non sono sole e non esiste un modo giusto e “sano” di essere o non essere madri.

Perché questa è la realtà. Si può scegliere di essere o non essere madri e non esiste una strada buona o cattiva: il mondo cambia, il mondo può rimanere lo stesso, ma la nostra mistica dovrebbe essere solo fatta dei nostri valori individuali, che costruiamo sulla base del nostro universo interiore. Possiamo realizzarci nella famiglia, nel lavoro o in entrambe le cose, ma facciamo in modo che la decisione sia solo nostra.