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La moda nei tempi di crisi e post-crisi: come è cambiata e come sta cambiando

È passato più di un anno da quando abbiamo sentito per la prima volta paragonare la crisi economica conseguente al Covid-19 a quella finanziaria del 2007-2008 e a quella dei periodi post-guerra. Allora, webinar e podcasts cercavano di prevedere i possibili scenari di come il sistema moda ne sarebbe uscito e cambiato. Eccoci un anno dopo a cercare di fare il punto della situazione

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Il passato è prezioso perché ci permette di analizzare e comprendere le modalità con cui sono state gestite certe situazioni, cercando di capire cosa ha funzionato in un determinato periodo, quali sono state le conseguenze, cosa è cambiato e perché.

Sia la Crisi Finanziaria del 2007-2008, che gli anni dei due dopoguerra hanno portato cambiamenti radicali nella moda, essendo essa stessa in continua evoluzione con gli avvenimenti che la circondano: la moda racconta la storia e la società attraverso gli abiti.

Novembre 1918: finisce la Prima Guerra Mondiale, guerra che ha visto uomini partire per combattere e donne rimboccarsi le maniche per sostituire, soprattutto economicamente, la figura maschile.

Ecco che gli anni ‘20 sono quindi caratterizzati da feste e frivolezza, balli e divertimento in cui la gente vuole svagarsi, basta guardare e leggere Il Grande Gatsby.

E la moda, di conseguenza, è cambiata.

 
 
 
 
 
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Gli sfarzi Ottocenteschi della Belle Époque vengono sostituiti da un senso di libertà mai avuto prima, in particolare per la moda femminile. È infatti nei primi anni 20 che entra in gioco la regina della moda Gabrielle Coco Chanel.

Le linee meno strette, l’utilizzo del jersey morbido ed elastico, l’orlo delle gonne accorciato, gli elementi del guardaroba maschile rivisitati ed introdotti anche in quello femminile: Chanel ha regalato alle donne non solo comodità e libertà nel movimento, ma soprattutto la libertà di potersi realizzarsi, di potersi emancipare e di poter essere indipendenti.

Negli anni ‘30 crea infatti l’iconico ed inconfondibile Tailleur Chanel: una nuova uniforme chic ed elegante composta da giacca maschile e gonna dritta o pantalone, perfetta per andare a lavorare senza rinunciare alla classe, e che contribuirà alla nuova idea di donna e di femminilità.

Settembre 1945: con la resa dell’ultima unità di combattimento tedesca termina la Seconda Guerra Mondiale, più dura di quella precedente.

La situazione del secondo dopoguerra era disastrosa: calo demografico, industrie in ginocchio e città frammentate dai bombardamenti.

Come per la prima, anche durante il secondo scontro mondiale le donne dovettero farsi carico delle responsabilità dei mariti e la razionalizzazione dei tessuti con l’introduzione dello “CC41 - Utility Clothing Scheme” nei primi anni ‘40 fa svanire ogni concetto di moda e stile: ci si vestiva con uniformi ispirate a quelle militari.

Ecco che nel 1947, in una situazione post-bellica, lo stilista francese Christian Dior presenta la sua prima collezione, che sarà conosciuta come New Look, raggiungendo un successo mai visto prima.

Con il New Look Dior riscrive la storia della moda, conferendo quella femminilità, quella classe e quell’eleganza persa durante il conflitto.

Il capo iconico della collezione, il tailleur Bar, era composto da una giacca stretta in vita e arrotondata verso la fine abbinata ad una gonna plissettata lunga fin sotto al ginocchio e completato da guanti e ampio cappello.

Sebbene questo tipo di uniforme fosse più rigido rispetto alle linee morbide proposte da Chanel (con il New Look la vita torna a stringersi e le gonne ad ampliarsi), questa nuova idea di esaltazione delle curve femminili piace, reduce dal fatto che con la guerra le donne avevano perso la loro sensualità. Gli anni ‘40 e i primi anni ‘50 furono infatti anni duri per la nostra Coco, ma non vi preoccupate: presto si rialzerà, ma questa è un’altra storia.

2007-2008: la bancarotta di Lehman Brothers da il via alla Grande Recessione.

Gli effetti dell’anno nero di Wall Street si fanno sentire in tutto il mondo con conseguenti crisi anche nei paesi europei.

Ricordo come fosse ieri il mio professore di storia della moda dire che la sfilata Haute Couture Fall 2007/2008 di Dior, al tempo sotto la guida di John Galliano, è stata l’ultima vera sfilata Haute Couture dalla rivoluzione di Yves Saint Laurent, perché da quel momento in poi, a causa dell’imminente crisi finanziaria, non sarebbe più stata la stessa.

E non ha torto, basta paragonare la sfilata di Dior di John Galliano del 2007 a quella di Raf Simons, sempre per Dior, del 2012.

Con la Grande Recessione cambia la società e cambiano le esigenze, ecco che si va ad abbandonare il fasto e l’esagerazione dell’Haute Couture intesa come massima esaltazione della creatività artistica di uno stilista: se prima le sfilate di alta moda erano un vero e proprio spettacolo, negli anni successivi si introduce sempre di più l’idea che anche l’alta moda deve vendere, quindi si spoglia dei suoi orpelli e diventa più commerciale.

Febbraio 2020: il Covid-19 inizia a diffondersi in Italia, arrivando presto in Europa e successivamente nel resto del mondo.

Confusione, incertezza, paura ed incredulità dominano la scena italiana e a marzo arriva il primo lockdown. Il Paese chiude e le persone sono costrette a stare a casa: mentre ci viene chiesto di fermarci noi pensiamo a come riorganizzarci ed andare avanti.

Inizia il boom delle vendite online, i primi colpi di crisi, la didattica a distanza e le live di Instagram.

Nel frattempo, i ritmi incessanti della moda rallentano, le fabbriche si convertono alla produzione di mascherine e i cali nelle vendite portano i primi segnali negativi, ma non ci si arrende, anzi, ci si adatta ai cambiamenti rivolgendosi al digitale, facendo push sull’e-commerce e sperimentando con i social media.

Arriva l’estate, la voglia di ripartire e le fashion week di giugno e settembre: i brand sperimentano metodi alternativi per presentare le collezioni, chi con videogiochi, chi con cortometraggi, chi con normali sfilate in sicurezza, chi con piattaforme digitali, chi scegliendo autonomamente quando presentare la collezione e chi con i social.

Non solo cambia il contenuto, ma cambiano anche la forma e lo scopo di fare moda. Da un lato il ready-to-wear assume un carattere più tranquillo, concreto ed intimo: Valentino presenta la sua collaborazione con Levi’s, Silvia Venturini Fendi è ispirata dalla calda atmosfera casalinga e Saint Laurent introduce il knitwear e i biker shorts.

 
 
 
 
 
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Dall’arta parte, l’Haute Couture prende invece una strada diversa, ritornando forse ad essere quella manifestazione di creatività fine non più tanto solo all’espressione artistica dei designer, ma soprattutto al riposizionamento dei valori dei brand rivisitati durante la pandemia.

È quindi impossibile non notare un cambiamento sia nel sistema che nel nostro modo di comprare e di guardare la moda.

Nonostante non siamo ancora usciti dalla crisi, abbiamo già individuato un change soprattutto nel nostro stile, a metà fra la comodità del loungewear e la voglia di ritornare a vestirci bene e anche se non sappiamo quali saranno le definitive conseguenze di tutto questo, sappiamo che la moda rallenta, ma mai si ferma.