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La legge del bilanciamento e altre cose imparate in 100 mq

Estratto di una faticosa - ma non credevo così tanto - quarantena

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È passato più di un mese da quando, bellamente ignara dell'inevitabile svilupparsi delle vicende, mi dicevo <ci ho passato tutti i miei anni, che vuoi che sia una temporanea-convivenzafamiliare-forzata?> utilizzo un escamotage perché con la parola 'quarantena' ancora non ci ho familiarizzato abbastanza. E di fatto i primi giorni di reclusione sono scivolati fastidiosamente bene, quasi come se il peso di una pandemia globale non riuscisse a varcare i muri di casa nostra. Non mi spaventava l'idea di avere del tempo a disposizione, che da buona Toro avrei saputo impegnare per esempio mangiando e dormendo, e non temevo uno stallo motorio tante (e in gravose condizioni che a descrivere non renderebbe) erano le stanze stracolme che lanciavano da anni un disperato grido d'aiuto. Sepolti in casa? Chi? Noi? <Esagerata> continua a dirmi mia mamma.

Avanzavano i giorni e trainata dalla smania di DOVER impiegare il mio tempo in modo fruttifero (ho l'ascendente in Vergine) mi sono lanciata in cucina, io, la stessa che di fronte a un 'quanto basta' versa in uno stato d'agitazione prossimo al ricovero. Ho sfornato torte poco cotte, biscotti che nessuno ha avuto il coraggio di mangiare per quanto poco edibili fossero e una crostata buonissima che però ha fatto mia sorella. Almeno l'onestà mi va riconosciuta.

Capito ben presto che a me i dolci piace solo mangiarli e non avendo più repulisti in lista da spuntare ho deciso che forse era giunto il momento di aprire i libri, che però prontamente ho anche richiuso. Ma questa non è la sede adatta per asciugarvi con la mia comprovata teoria del 'più tempo a disposizione hai, meno voglia troverai'. La sensazione di un mondo in stand-by mi ha paralizzata e certo procedura civile non mi avrebbe aiutata a buttare giù l'angoscia che pian piano mi stava riempiendo.

Esaurite le mansioni di manutenzione, bocciata l'esperienza culinaria e deliberatamente allontanata l'opzione studio, mi restava ben poco altro da fare se non la mia attività meno preferita al mondo: la ginnastica. 40 minuti al giorno di agonia mista a sudore, uno spettacolo che fortunatamente è godibile soltanto da quei tre disgraziati con cui vivo. Ed è assurdo pensare che l'elaborato che sotto vi andrò a esporre, frutto di una mente sgombra che sbatte e si scontra solo con quei tre sopracitati, sia stato concepito pedalando, a livello 1, sulla cyclette.

La mia è una famiglia normalissima, cioè quanto di più lontano dal falso stereotipo del Mulino Bianco. Non è mai esistita la colazione comune e sto ben attenta dal farla accadere. I soli momenti di riunione coincidono col pranzo e con la cena ed è lì che ci scambiamo i personali resoconti giornalieri: talvolta ridendo, talvolta urlandoci addosso. La sera è un tempio sacro in cui è severamente proibita la compagnia, ci releghiamo in quattro stanze diverse e godiamo ciascuno del meritato isolamento. Ci vogliamo molto bene.

Con l'inizio della quarantena c'erano troppe persiane da riverniciare, workout da fare e dolci da (ecco sì più o meno) sfornare per accorgersi del tedio imminente che avrebbe sguinzagliato i nostri asti uno contro l'altro. Ci eccitava l'idea di giostrare il tempo comune per cose a cui prima dedicavamo qualche manciata di minuti: mai fu visto un così tracotante trasporto per stilare la lista della spesa, la competizione ci accecava per interi pomeriggi passati a giocare a briscola e a ogni 'che si mangia oggi?' fioccavano caterve di richieste unte e bisunte.

Le settimane però passano uguali e noi non siamo certo supereroi. L'entusiasmo della novità ci si è sbriciolato davanti e ha lasciato quattro nude figure a contrasto. Tutto fa pretesto per un attacco gratuito. È colpa sua se ieri ha piovuto, è colpa tua se la pasta è scotta, è colpa mia se il mio armadio è uno schifo. L'equilibrio è precario e a ogni parola scomposta sento un cazziatone arrivare prepotentemente. Le voci si alzano e si abbassano per così poco, mostrandoci nero su bianco il nostro essere esausti.

Non sono spaventata, quello che succede tra queste quattro mura è niente altro che un fisiologico bisogno di spurgare la spossatezza ammassata in questi quaranta giorni. Sto ben lontana dal dipingere la nostra situazione come un quadro drammatico, ché il peggio che può succederci è non rivolgersi la parola per qualche ora, e francamente non capisco chi devo ingraziarmi per averne più spesso di suddetti momenti di beata pace.

Ma il punto, sempre che riesca bene a definirlo, è che l'agitarsi continuo del baricentro di questa famiglia non fa altro che alimentare scontentezza e accendere i nostri più miseri e infimi lati caratteriali. Quello che modestamente ho teorizzato, mentre annaspavo pedalando, è la legge del bilanciamento: un infantile meccanismo di spudorata difesa della parte che sta soccombendo, piegata dalle grida dell'altra; anche se ha torto, anche se siete arrivati sul campo di battaglia a scontro concluso, siate sempre schierati dalla parte che sta per uscirne sconfitta. Dimostrate l'innocenza dell'imputato sotto torchio e fate calare nuovamente un'aurea di placida serenità. A mali estremi, patteggiate.

Non sempre funzionerà, o meglio non sempre in questa famiglia funziona. Il fatto che 7 volte su 10 il cane rabbioso sia io spiega il deludente risultato che ho ottenuto e la dice lunga sulla finta diplomazia che professo; ma d'altra parte, again, sono un Toro fatto e finito. Per cui se è vero che al 50% il sistema del bilanciamento sta in piedi, l'altro 50% mi si è schiantato in faccia e, sentendomela un po' Carrie, non ho potuto fare a meno di chiedermi: quindi il problema maggiore sono io? E ho quindi finalmente trovato qualcosa su cui lavorare per non restare improduttiva? Che fatica la quarantena.