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L’Italia campione e la schiavitù della retorica

In occasioni come la vittoria dei campionati europei di calcio i mezzi di comunicazione vivono di stereotipi e frasi fatte ai quali il pubblico si conforma facendoli propri in un processo di simbiosi che annulla la possibilità di trasmettere emozioni in modo sincero. Il processo è così profondo e radicato che persino le frasi dei politici, solitamente intrise di retorica a buon mercato, paiono svettare per originalità.

Di

“La retorica a tonnellate, a vagonate, a cargo, rende greve ciò che dovrebbe essere alato: la vittoria”.

Michele Serra da “La Repubblica” che continua: “Vincere è bellissimo e lo sport è bellissimo. È epica allo stato puro, gesto che non ha bisogno di parlarci sopra, solo di essere descritto, raccontato nel suo farsi”.

Nel suo articolo Serra si scaglia contro la retorica dei “cattivi giornalisti sportivi”, cadendo nella trappola della stessa retorica.

Frasi fatte, iperbole reiterate, accostamenti storici, paradossi già sfruttati, altro non sono che il rifugio culturale della retorica che è in noi; per pigrizia, per eccessiva fretta, per scarsa o per sfoggio di cultura, ci aiutiamo percorrendo la via più facile della scrittura.

Basti pensare alle continue citazioni latine che fanno tanto “carretta”, come dicono a teatro, tanto da rendere chi scrive un “greve scribacchino” al pari di un guitto.

Principe della retorica fu Cicerone, uomo di immensa cultura tanto da tradurre Omero dal greco che nella sua straordinaria oratoria era un continuo rimando alla retorica, affascinando così la platea del Senato.

Ben prima di lui i Sofisti usavano la loro abilità retorica per imporre verità assolute, cosa messa in dubbio dal metodo socratico insegnato dal filosofo dei filosofi, Socrate appunto.

Che Inghilterra-Italia non fosse solo una partita di calcio lo avevamo già scritto, commentando il monito del premier Draghi, appoggiato dalla Merkel, contro le partite a Wembley; così come la spocchia e l’arroganza inglese era dovuta ai nodi ancora irrisolti della Brexit. Bisognava ridimensionare l’Ego sfrenato degli inglesi per questo l’Europa, unita, ha tifato compatta per la nazionale italiana.

Quel: “Ndo stai?” di Draghi, cercando il volto di Donnarumma ai festeggiamenti a Palazzo Chigi, tradisce una soddisfazione autentica, forse verace, di sicuro romanesca che nulla ha che fare con una “greve” retorica: è pura gioia.

 
 
 
 
 
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Lo stile del presidente Mattarella, la sua esultanza accennata e subito repressa, per non sembrar scortese è la lezione di uno stile che è totalmente mancato ai reali, al premier e a quei delinquenti di hooligans inglesi.

 
 
 
 
 
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Certo, poi la Stampa sportiva e non solo ci ha messo del suo per rendere cotanta retorica una insopportabile melassa alla quale si sono accodati tanti commentatori e opinionisti nei programmi televisivi e se questo lo si somma all’evento della scomparsa di Raffaella Carrà, viene l’istinto di non comprare più i giornali per qualche giorno e spegnere la Tv per leggere un buon libro. 

Per una supposta proprietà transitiva la vittoria degli azzurri porterà l’innalzamento del nostro Pil di qualche punto e se si calcola che un punto equivale a 16 miliardi di euro, allora si capisce ancora meglio che la finale di Wembley non è stata solo una partita di calcio. Come diceva Totò: “La vita è fatta di cose vere e di cose supposte, per il momento mettiamo le vere da parte, ma le supposte dove le mettiamo?”.

Chissà gli inglesi che risposta si staranno dando?

Fuor di retorica ça va sans dire!

 
 
 
 
 
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