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#iorestoacasa: il ruolo delle emozioni

Dallo sconforto alla paura, la terza settimana è navigare dentro sé stessi

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Poco tempo fa, in tempi non sospetti, mi sono trovata coinvolta in una conversazione che ad oggi pare quasi premonitrice. Parlavo della mia incapacità di ragionare senza un filo di romanticismo qualsiasi ambito toccassi e mi veniva suggerito il fatto che sul lavoro dovessi mantenere freddezza, cinismo, attenuata cattiveria, abbandonare la tenerezza dalla quale spesso mi faccio dolcemente cullare (“perché è facile proteggersi appigliandosi a lei”) per ragionare in termini di interessi, di obiettivi, di remunerazione.

Vero… niente da dire in contrario, eppure la sera stessa, ragionando su quanto detto, ho cercato di capire quali fossero i pro e i contro dell’agire in maniera puramente razionale, solo quando le emozioni vanno fuori gioco autonomamente, quando lo scelgono da sole. 

Ho un libro a casa, qui a Milano, si chiama “La scelta imperfetta” e contiene un capitolo “Il ruolo delle emozioni” che spiega esattamente quanto avrei voluto spiegare io, senza però fornire sufficienti sostegni che avvalorino la mia tesi:

“I modelli economici tradizionali hanno perlopiù escluso lo studio delle emozioni dall’analisi dei processi decisionali, evidenziando, al contrario, gli aspetti che potremmo definire “razionali” del sistema cognitivo umano. Studi recenti, integrando gli sviluppi della psicologia delle emozioni (in grado di reindirizzare i dati forniti dalle neuroscienze), hanno però messo in evidenza come proprio le emozioni e la gestione delle stesse caratterizzino in modo stretto lo sviluppo delle decisioni, anche in contesti tradizionalmente definiti razionali […]”.

 
 
 
 
 
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Abbiamo tutti bisogno di un po’ di tenerezza

Un post condiviso da Giuro che mi chiamo Giulietta (@giuliettariva) in data:

Eccomi qua, quasi trenta giorni dopo, davanti ad un mondo sbattuto forzatamente dentro la propria casa, che la tenerezza (emozione) se l’era del tutto dimenticata e che ora è costretto a rimetterla in campo, a rivolgerle un pensiero e a cercare di capire come farne uso.

Siamo alla terza settimana di reclusione, i pensieri si infittiscono, dopo l’adrenalina iniziale, lo sconforto come conseguenza naturale a seguirla, ecco: il ruolo delle emozioni.

Le emozioni entrano in gioco quando la razionalità ha fatto il suo corso, quando non è abbastanza forte per soffocarle. Gridano, quando ci rendiamo conto di dover combattere contro qualcosa di immensamente più grande di noi, sconosciuto, senza faccia, che abbiamo forse identificato come tanto potente da renderci inutili, o utili nella nostra immobilità. Nell’era in cui pensavamo che neanche una bomba nucleare sarebbe stata in grado di buttare giù l’ingegno con il quale ci eravamo costruiti e con il quale avevamo costruito il nostro dominio. Siamo alla terza settimana e siamo consapevoli dell’impatto che la malattia ha avuto su di noi.

Navighiamo dentro noi stessi perché fuori non possiamo andare ed è proprio lì dentro che ci chiediamo quel che succederà, perché al momento non vediamo i postumi, il sovraccarico di informazioni ci confonde e non sappiamo sinceramente dove cercare per visualizzare un barlume di speranza a porre fine a un periodo che sembra già un’eternità.

Cerchiamo il picco per poter gioire della decrescita, siamo stralunati perché consapevoli, ma ancora stupiti dall’onda violenta che ci ha travolti.

Immaginiamo come sarà quando l’ordine tornerà, se tornerà ci chiediamo…

La terza settimana è in mano alle mie di emozioni, e no, non so se andrà tutto bene ma continuerò a chiedermelo e ad affidarmi alla mia tenerezza dalla quale, in questa terza settimana, mi faccio dolcemente cullare (“perché è facile proteggersi appigliandosi a lei”).